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sensitive Americana di
Fabio Cerbone (13/03/2014)
Sorprendente a dir poco il camaleontico sgusciare di Robert Ellis nelle
trame della canzone d'autore americana, un segnale che si lasciava intravedere
in tutto il suo potenziale talento già nell'esordio in casa New West, quel delizioso
e demodè Photographs
grazie al quale metteva il suo nome sulla mappa estesa dell'Americana nel 2012.
Oggi più che mai The Lights From The Chemical Plant accelera il
passo e lo impone senza sconti tra le giovani voci più interessanti di certo cantautorato
ai confini fra tradizione e pop. È l'altra faccia della medaglia, a detta dello
stesso texano Ellis (cresciuto a Houston, ma presto giravago per istinto), ad
infondere le ballate dell'album: la sua educazione prevede da una parte il country
brusco e l'honky tonk frizzante che colorava metà del piatto di Photographs, dall'altra
l'elegante, intimo, persino sofisticato songwriting anni 70 che pervadeva in parte
i momenti acustici di quel disco e che oggi trova una definitiva sintesi negli
undici episodi prodotti insieme a Jacquire King (Tom Waits, Kings of Leon, Norah
Jones) negli studi di east Nashville.
È forse la sensibile cover di Still
Crazy After All These Years (Paul Simon) a spiegare più di molte parole:
rispettosa certo, ma anche pronta a farsi largo con il suo finale imbizzarrito
e un solismo alla chitarra che potrebbe ricordare il trattamento di Nels Cline
e dei Wilco. Robert Ellis non è dunque il solito storyteller dalla polvere del
South West americano, il suo "tradizionalismo" si dilata fra archi, pedal steel
(Will Van Horn), fiati (il sax carezzevole che accompagna il pianistico racconto
da loser di Bottle of Wine) e melodie che
si costruiscono pazientemente a strati, svelando intuizioni ad ogni curva. Un
disco ambizioso e con un'idea di suono precisa in testa, ma soprattutto una scrittura
mai banale nella ricercatezza delle immagini, anche quando sfrutta ad ogni costo
le regole del folk o dell'alternative country: potremmo scegliere a tal proposito
la cadenza irresistibile e desertica di Good Intentions,
la grazia jazzy di Pride, che piacerebbe tanto
ad uno come Howe gelb, gli orizzonti a perdita d'occhio e la malinconia di Only
Lies, fino allo stellare galoppo western di Sing
Along, forse il momento più strettamente in sintonia con il precedente
lavoro.
Quello che è certo di The Lights From The Chemical Plant è il
suo racconto aperto, storie molto americane nello svolgimento e in perfetta sintonia
con gli eroi che lo stesso Ellis cita con devozione (qui tira in ballo, e non
a casaccio, Randy Newman e Paul Simon, ma noi aggiungeremmo sommessamente Jackson
Browne e Gram Parsons). Amori perduti, vite spezzate, memorie, small town e desolazione
nelle immagini della bellissima storia d'amore di Chemical
Plant, evocazioni più personali e un sound "cosmico" in Tv
Song, capace tanto quanto la Steady as the Rising Sun firmata
in coppia con Taylor Goldsmith (Dawes) di accedere all'anima più squisitamente
pop del disco. Un'armonia musicale mai sbandierata, che centellina ogni arangiamento
e si prende anche i suoi rischi (il lungo walzer di Houston
e la sua coda jammata, la chiusura con Tour Song), perché The Lights From
The Chemical Plant, pur nei suoi sottili scintillii melodici, non è affatto un
disco da prendere alla "leggera".