È bello e significativo che Eric Andersen compia
gli anni il giorno di San Valentino, ancor più quest’anno che ha raggiunto
gli 80 anni fortunatamente in piena forma e attività. Il mondo pare essersi
un po’ dimenticato di questo romantico cantastorie, e spiace, visto che,
sebbene sia un nome irrimediabilmente legato ad un passato ormai lontano
che parla di Greenwich Village negli anni ‘60 e scena West Coast negli
anni ‘70, la sua produzione degli ultimi trent’anni ha avuto tutt’altro
il tono di chi ha solo da riproporre una vecchia canzone (da recuperare
sicuramente You Can’t Relieve the Past, di cui qui viene ripresa
la title-track scritta con Lou Reed, e Beat Avenue, ma anche il
trittico
di dischi dedicati a Lord Byron, Heinrich Böll e Albert Camus
di cui vi abbiamo parlato sulle nostre pagine).
Per cui merito alla squadra dell’italianissima Appaloosa, non solo per
averlo portato in Italia per uno degli ultimi tour che abbiamo potuto
gustare in tranquillità, prima della fatidica pandemia, ma di aver anche
realizzato, per festeggiare il suo importante compleanno, un live-record
registrato a Pavia in una delle ultime serate della storica sede di Spaziomusica.
Ottima registrazione, con resa quasi da unplugged in studio di un quartetto
rodato formato dalla moglie Inge Andersen alla voce, il percussionista
Cheryl Prashker, e soprattutto, - e questa era la vera curiosità dello
show - il violino di Scarlet Rivera, “quella di Desire di
Bob Dylan”. La quale non ha deluso le aspettative di chi si aspettava
un egual enorme peso sul suono e la resa dei brani che il suo strumento
sa ancora imprimere. Ma, aggiungiamo, un contributo per nulla marginale
arriva anche dal dobro di Paolo Ercoli, membro aggiunto di casa nostra.
Per il resto Andersen nelle fredde serate di quel fine 2019 (chi scrive
ha avuto modo di vedere la data di Como all’Officina della Musica) si
dimostrò capace di mischiare pezzi storici e nuovi non facendone quasi
intuire le differenze di origine, stile e ispirazione. Per cui, anche
se questo live propone solo nove brani per dovere di sintesi, i cavalli
di battaglia Violets of Dawn, Sheila e Wind and Sand
ben convivono con brani più recenti (Under the Shadows, scritta
con la figlia, e ben due estratti da Memory of The Future del 1999,
che resta il disco forse più bello della sua maturità, cioè Hills of
Tuscany e Foghorn). In più qualche recupero meno scontato,
come la Dusty Box Car Wall che apre le danze, che arriva proprio
da suoi “golden years” giovanili per le strade di New York (era sull’esordio
Today Is The Highway del 1965), e (We Were) Foolish Like The
Flowers tratta da Avalanche del 1968.
Sperando non diventi solo un oggetto per completisti o un ricordo per
chi c’era in quelle serate, Foolish Like The Flowers resta
un bel documento di un artista che si rischia spesso di dare per scontato.