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original indie-rock since 1984 di
Yuri Susanna (04/02/2013)
La
fortuna attuale degli Yo La Tengo è probabilmente quella di non avere più
nulla da dimostrare. La band di Ira Kaplan e Georgia Hubley (più James McNew,
che si è aggregato in un secondo tempo) rappresenta una delle rare realtà musicali
alternative ininterrottamente in attività da trent'anni (poco meno: la data di
nascita è 1984, quando il termine "indie rock" neanche esisteva), e ha ormai lasciato,
pur operando da una posizione defilata, la sua impronta indelebile sul suono contemporaneo.
I Can Hear the Heart Beating as One e And Then Nothing Turned Itself
Inside-Out (1997 e 2000, rispettivamente) sono riferimenti indispensabili
per orientarsi nella mappa dei linguaggi musicali degli ultimi vent'anni. Aggiungete
magari anche Painful (1993) e Electr-O-Pura (1995), e la portata
del loro percorso vi risulterà evidente. Fade non nasce quindi dalla
necessità di indicare nuove strade, piuttosto dalla semplice volontà di comunicare,
che poi è più o meno da sempre la giustificazione più ovvia del fare arte.
Per
questo suona forse un filino più facile e lineare del solito, intessuto di canzoni
che ammiccano a un'estetica a suo modo dream pop, uggiosa ma orecchiabile, con
uno strano (per loro) substrato folk (Nick Drake perso tra le nebbie di Hoboken?)
che flirta con archi e ottoni, stemperando il rumorismo chitarristico nell'abbraccio
di armonie acustiche circolari. Il cambio di produttore, dopo una liaison con
Roger Moutenot che durava dal 1993, non reca grandi sconvolgimenti: John McEntire,
icona del suono "post" di Chicago (una sorta di Jim O'Rourke meno ingombrante,
collaboratore di Tortoise, Stereolab, Bright Eyes e altri), non alza il tasso
di sperimentazione, semmai introduce qualche raffinatezza (una tromba, una spolverata
d'archi, un vibrafono) che ingentilisce il suono in direzione onirica. Ohm
è il frammento più rumoroso, sorretto da una ritmica quasi dance; la loureediana
Is That Enough è una melodia sporca e adescatrice,
un incontro tra miele e ruggine che ci ricorda come tutto (o quasi) abbia avuto
origine tanti anni fa da un disco con una banana in copertina; Well
You Better è pop imbambolato, Paddle Forward
una scheggia impazzita degli anni '90 e Stupid Thing
un distillato delle loro forma-ballata tipica.
Costruito con grande attenzione
alla distribuzione degli umori lungo la sequenza dei brani, Fade a questo punto
si lascia dietro il primo blocco di "cinque pezzi facili" per introdurre un trittico
più impegnativo, una sequenza in cui domina un senso di staticità rarefatta, veicolato
dagli arpeggi ricorsivi di I'll Be Around,
dal tempo sospeso di Cornelia and Jane (cantata
dalla Hubley), dall'atmosfera liquida di Two Trains,
che prelude a sua volta a una nuova transizione verso un finale più dinamico con
la bucolica The Point of It e la velvettiana (di nuovo) e quasi orchestrale
Before We Run. Aggiungiamo pure che ci troviamo
davanti a un'opera che non si vergogna di indagare temi adulti - la maturità,
la morte, l'evolversi delle relazioni: tutte possibili letture del concetto di
"dissolvenza" enunciato nel titolo - un disco insomma che saluta il 2013 con un'autorevolezza,
una padronanza di linguaggio e una densità di senso ai quali la folta schiera
di "nipotini" degli Yo La Tengo oggi in circolazione (legittimi e spuri) difficilmente
sapranno approssimarsi. Dai nonni si può ancora imparare qualcosa.