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indie folk di
Fabio Cerbone (17/01/2013)
Già
alla guida dei canadesi The Costantines, band che ha strappato un contratto con
la Sub Pop (tre dischi in tutto nello scorso decennio) navigando per anni nel
grande mare dell'alt-rock internazionale, Bry Webb ha messo in soffitta
i vecchi compagni, dedicandosi ad una nuova carriera solista. La stessa che segue
quella di padre e marito, in un cambio di rotta che ha portato responsabilità
e riflessione: una nuova casa nel tepore della provincia, nella nativa Guelph,
lontano dal frastuono di Montreal; un lavoro a tempo pieno nella comunità, gestendo
la programmazione della locale stazione radio, qualche apparizione al fianco di
affermati colleghi (un duetto con Feist nel più recente Metals).
Temi
e situazioni che si riflettono nel suono scarno e minimalista di questo Provider,
presentato in una intrigante confezione cartonata ed edito originariamente in
patria nel 2011. Nove ballate ridotte al sussurro, malinconiche come i cieli dell'Ontario
da cui proviene Webb, in buona parte sorrette da chitarra e voce, con un leggero
contorno offerto dalla pedal steel di Mike Brooks e dalla gemella lap steel di
Rich Bennett. Sono l'unico contraltare - con l'eccezione del contrabasso ossuto
di Tyler belluz - ai gentili mormorii di Bry Webb, che diviso fra una porta chiusa
(quella dei Costantines e dell'art punk nervoso del passato) e una aperta (l'incerto
futuro da folksinger) raccoglie liriche spezzate, versi introspettivi e piccole
gioie di vita, chiedendo un grande sforzo di concentrazione all'ascoltatore.
Cadiamo
facilmente nel campo dell'indie folk più rabbuiato e intimista di queste stagioni,
guardando a maestri quali Bonnie Prince Billy e Jason Molina, ma con una cifra
stilistica personale, che ad esempio permette a Webb di amoreggiare con una lontana
eco soul in Asa e di ripassare con originalità
le coordinate della ballata country folk più rurale in Rivers
of Gold e Zebra, vertici della
poetica raccolta dell'album. Certo il sacrificio richiesto supera a volte il lecito,
nella totale assenza di sussulti e variazioni: un tappeto di fiati (Colin Stetson)
ammanta Undertaker, impalpabili cori accompagnano
la litania di Get You Up in Peace, mentre
una primitiva ritmica scandisce il timbro sinistro di
Ex-Punks, tra i momenti più stranianti del disco. Sono comunque deviazioni
di percorso contenute, che non intaccano la scorza asciutta, irreprensibile di
Provider, lavoro che scivola inesorabilmente nelle cadenze solitarie di Persistent
Spirit e Lowlife, melodie che nascondono fragilità e una qualche forma
di incompiuta di bellezza, ma che avremmo forse voluto osservare crescere, schiudersi
insomma in canzoni più compiute e forti. Il tempo maturerà forse al prossimo giro.