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self made indie-rock di
Nicola Gervasini (12/11/2012)
Ricordo
che un tempo (tante ere discografiche fa) per un artista parlare dei colleghi
era tabù. L'idea che la propria arte fosse indipendente da qualsiasi modello era
sacra, così come il concetto che trovare riferimenti fosse un esercizio fine a
se stesso riservato ai critici rock. Al massimo, proprio quando l'artista era
in vena di confidenze, si arrivava a dichiarare qualche lontana influenza, normalmente
un nome degli anni quaranta che nessuno aveva ancora indicato, giusto per spiazzare
ulteriormente coloro che scrivevano di musica solo perché incapaci di crearne
una propria (grazie ancora Zappa per l'illuminante scoperta…). Things have
changed ha giustamente notato Dylan un decennio fa rispondendo a se stesso,
e così capita che il sito di Rupert Stroud (Chi? Lo vediamo dopo, calma…)
abbia la sezione Influences messa più in evidenza di quella della propria musica
(relegata ad un linkino in alto, manco fosse solo il forum).
Ammassati
su un ipotetico tavolo ritroviamo copertine di classici per nulla oscuri, divisi
in tre significative sezioni: quello che ascoltava lui (Red Hot Chili Peppers,
Nirvana, Radiohead, pure i Simply Red), quello che ascoltavano i suoi genitori
(da Elvis ai Police passando per tutto quello che dovrebbe avere in casa qualsiasi
buon papà-rocker) e quello che ascolta lui oggi (David Gray, Ray Lamontagne, Damien
Rice, e qui cominciate a capire dove si andrà a parare). Dalla sua Bio (un delizioso
libro con disegni che pare il Diario di una Schiappa) apprendiamo intanto che
Chasing The Night è il suo secondo album, che scrive, suona, canta
tutto lui tranne la batteria affidata a Mick Bedford e qualche aiutino del produttore
Will Jackson, che aveva pronte ben 25 canzoni per tirare fuori queste 13, che
vuole crearsi una solida base di fan tramite facebook, twitter (ecc…) che gli
permetta di cantare e suonare per tutta la vita.
Fin qui al posto di Rupert
Stroud avremmo potuto mettere almeno un milione di giovani songwriter indipendenti
che si accontentano di una nicchia di un migliaio di seguaci, lasciando che la
storia appartenga ad altri, in sezione apposita naturalmente. Nessuno scandalo
che ciò accada nel 2012, a noi il compito di segnalarvene uno tra i tanti di tanto
in tanto, forse perché in Chasing The Night ci sono abbastanza idee e buone canzoni
da giustificare un giro dalle sue parti tra un nuovo imprescindibile lavoro di
Dylan e un disco storico dei Nirvana. Ad esempio la title track e No
Love Lost, non a caso scelte per commentare i due video ufficiali confezionati
per favorire la self-promotion. Il resto viaggia tra il medio e l'interessante,
che per una produzione semi-casalinga già non è poco, con qualche lungaggine (Sunday
Night Blues dovrebbe suonare mefistofelica ma finisce per essere solo
faticosa) e momenti ispirati (Take Your Time).