Straylings
Entertainment on Foreign Grounds
[
Deadpan Records  
2012]

straylings.bandcamp.com

File Under: desert folk rock

di Fabio Cerbone (06/04/2012)

Niente male per una ragazza dalle origini metà arabe e metà austriache: è il proverbiale melting pot del rock'n'roll che fa il suo corso e annulla qualsiasi barriera in entrata, offrendo davvero l'impressione che un linguaggio musicale possa essere universale e parlare oltre le radici di ogni singolo individuo. Nel caso di Dana Zeera galeotta fu Londra e un viaggio agli inizi del 2001: stabilitasi nella capitale britannica, frequentando i soliti 'open mic' dei locali cittadini e la scena fertile dei quartieri nord, fa l'incontro della sua vita, con il chitarrista e autore Oliver Drake. Lui ha un passato come turnista, avendo lavorato con la prestigiosa Rough Trade e in particolare con The Veils, ma nella voce di Dana scopre un mistero completamente nuovo, che appartiene al lato pù scuro e romantico del rock. Il duo artistico degli Straylings è presto formato e sulla scia dell'entusiasmo Oliver e Dana pubblicano un ep che si guadagna presto le attenzioni degli addetti ai lavori: qualche attenzione dal dj della BBC Steve Lamacq, l'interesse del produttore Kramer (Low, Urge Overkill) e l'idea di capitalizzare presto questo seguito di culto con un album vero e proprio.

Entertainment on Foreign Grounds scioglie il dilemma attraverso undici episodi che abitano i luoghi più cinematici, desertici di quel suono folk rock che ha attraversato spesso l'underground americano dagli anni '80 in poi. Non a caso qualcuno a rispolverato la sigla Mazzy Star, un po' a sproposito sinceramente: alla placida psichedelia del gruppo di David Roback e Hope Sandoval gli Straylings sostituiscono un sound chitarristico più aggressivo e dalle timbriche garage, che evoca a tratti, nella stessa rovente vocalità di Dana Zeera, la prima PJ Harvey, magari colta in una sessione inedita con i Calexico. L'assalto frontale di Carver's Kicks, gli echi psichedelici di Sleep Shapes e i loro risvolti western in The Spoils hanno senz'altro qualcosa da condividere con i nomi citati, ma in verità ricordano soprattutto gli esordi Neko Case, che sugli intrecci fra tradizione country e sonorità sixties giocò molto ad inizio carriera.

Fin qui le coordinate di un esordio interessante, seppure ancora troppo incentrato sulle dinamiche tra i riverberi delle chitarre e la voce stentorea di Dana Zeera. La produzione del duo e quindi il lavoro di missaggio ad opera di John O'Mahony e Sam Bell (dai Rem a Regina Spektor agli Alberta Cross) ha evidentemente puntato tutte le carte su queste dinamiche: a lungo andare però il fiato si fa corto, per cui messi in conto gli stridori di Bitter Face e sorpassata la fascinosa nenia pianistica di Marie & The Dusty Lands, il disco torna ad insistere sulla stessa alternanza fra rapimento e abbandono, in un bagno di echi e chitarre polverose (The Unravelling Of Mr Ed, Animal Flag). Suggeriamo ai ragazzi un viaggio a Tucson, Arizona: chissà che non nasca qualcosa di interessante.



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