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european gypsy apalachiana di
Emilio Mera (26/10/2012)
I
Black Prairie, nati nel 2007 come "Home Band" di Portland, sono fondamentalmente
una creatura nata per divertimento da 3/5 dei Decemberists - ovvero Chris Funk
(che aveva voglia di suonare di più il dobro oltre all'autoharp e il banjo) Nate
Query (basso acustico) e Jenny Conlee (fisarmonica, piano, pump organ) - con il
proposito di dar vita ad una instrumental back porch string band. Questo loro
secondo album (cui bisogna aggiungere l'opera cinematografica per bambini The
Storm In The Barn uscita alcuni mesi fa) dimostra la loro crescita come entità
indipendente rispetto a quella da cui provengono. I Black Prairie confermano la
loro voglia di comporre musica fuori dagli schemi, la loro voglia di sperimentare
nuovi territori e soprattutto di divertirsi (da notare la spilla indossata da
Chris con la scritta"Fun").
Rispetto al precedente e sorprendente Feast
Of Hunter's Moon, album di per sé molto strumentale e cinematografico,
troviamo in questa loro ultima fatica la presenza stabile di Annalisa Tornfelt
(oltre al chitarrista Jon Neufeld) la cui voce angelica e profonda è la vera ciliegina
sulla torta dell'album, basti citare alcune ballad da lei cantate come Nowhere
Massachusetss, Rock Of Ages, la
sognante How Do You Ruin Me (primo loro singolo)
e la stupenda Little Song Bird per rendersene
conto. Non mancano anche stavolta gli interludi strumentali che conferiscono all'album
un senso di unità e che confermano l'impressivo arcobaleno musicale dell'ensemble
di Portland, definita come una "East European Gypsy Appalachian band".
Con A Tear in The Eye Is A Wound In The Heart i Black Prairie riescono
ancora una volta a sorprenderci mescolando generi musicali diversi come il folk,
il bluegrass con il gypsy soul e il klezmer di matrice Est Europea (da Goran Bregovic
ai Beirut). Sicuramente i tradizionalisti del bluegrass potrebbero sentirsi in
un certo senso spiazzati dal vortice sonoro che la band di Portland è capace di
creare, riuscendo ad uscire brillantemente dalla scatola (spesso asfissiante)
della pura tradizione.
Ascoltandolo più volte ci si rende conto dell'enorme
lavoro fatto dai Black Priarie; nelle sedici composizioni originali sembra non
esserci una nota fuori posto anche se per alcuni gli arrangiamenti possano suonare
"fuorvianti e sperimentali". A Tear in The Eye... resta comunque un album che
omaggia le numerose influenze della band capitanata da Chris Funk a cominciare
dalla strumentale For The Love Of John Hartford
che rende omaggio al grande cultore delle old time fiddle ballad e della musica
pre-grass, al mentore Richard Manuel (della Band) e per finire a Elvis Presley
nella lunga hidden track (quasi venti minuti) Lay Me
Down In Tennessee. Come il precedente album del 2010, A Tear In The
Eye conferma i Black Prairie come un combo originale, interessante, capace di
sperimentare e mescolare i diversi generi musicali nella giusta dose dimostrando
sempre più di essere una band dal sound "Globale". Un album intrigante, che sancisce
ancora una volta l'evoluzione della calda scena di Portland in direzione "americana"
e non solo.