File Under:
weird freakarama di
Gianfranco Callieri (26/09/2012)
Non
avendo mai frequentato le produzioni discografiche di Matt Valentine ("MV") e
Erika Elder ("EE"), strampalato duo del Vermont intento a ricamare quel che loro
stessi definiscono "raga lunari" infarciti di psichedelia, folk appalachiano e,
appunto, prolusioni indiane in stile raga, cerco in rete qualche informazione
e resto basito nello scoprire che la coppia ha già pubblicato una cosa come trentadue
(avete letto bene: 32) dischi dal 2001 a oggi. Tutto materiale affiorato, ça va
sans dire, in forma di cd-r su etichette al limite della carboneria, dall'autogestita
(e irrintracciabile) Child Of Microtones alla meglio distribuita Ecstatic Peace!
(proprietà di Thurston Moore dei Sonic Youth). Se il buongiorno si vede dal mattino,
seppur tardivo, alla luce di questo Space Homestead immagino i nostri
appartengano a quel drappello di artisti intenzionati a inondare il mercato con
qualsiasi brandello di musica registrato o anche soltanto concepito.
Infatti,
nell'"appezzamento spaziale" in oggetto si ritrova un po' di tutto, atmosferici
e brevissimi ricami strumentali come Heart Like Barbara
Steele (non fatevi ingannare dal titolo, perché l'indimenticabile Principessa
Vajda della Maschera di Cera diretta da Mario Bava, sepolta viva per accuse di
stregoneria, non c'entra un fico secco), sbrindellati poemi folkie per lap-steel
e armonica come quello di Workingman's Smile,
country-blues sgangherato alla maniera di un Dock Boggs in acido come nella zoppicante,
e nondimeno deliziosa, Shit's Creek. Gli interessati
ci tengono a specificare che Space Homestead è stato registrato in "Spectrasound",
ma cosa questo effettivamente sia, al di là di un suono talmente lo-fi da far
sembrare i dischi di Daniel Johnston operazioni di moderna e raffinata ingegneria
sonora, è notizia probabilmente rimasta a gironzolare tra i neuroni di chi l'ha
congegnato.
L'album, con coerenza quasi irreprensibile, è per metà una
schifezza inascoltabile, eseguita in modo a dir poco dilettantesco (e voluto,
certo, ma è lo stesso un peccato, in una Sweet Sure Gone non lontana dai
Grateful Dead, sentire una cascata di storture e deviazioni incomprensibili distruggere
gli affioramenti di qualsiasi straccio di melodia classica), e per metà uno splendido
manifesto passatista abitato dai fantasmi di Neil Young & Crazy Horse (periodo
Zuma), dei Dinosaur Jr (da qualche parte, seduto però dietro i tamburi, c'è persino
J Mascis) e dei Rain Parade più celestiali (evidentissimi nello struggente
madrigale di Moment). L'intossicante affresco
elettrico di Too Far Gone, con le chitarre
sempre sul punto di collassare, il country-rock lisergico e magistrale di Wasteland
(con coda deragliante di feedback) e il muro fiammante di distorsioni eretto nella
scombussolante Porchlight > Leaves, a un certo punto persino ingentilita
da un flauto, vanno salvati, e ascoltati, ad ogni costo. Per tutto il resto, possiamo
tornare a sintonizzarci tra altri trenta dischi.