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sophisticated pop/folk pop di
Nicola Gervasini (26/07/2012)
Sono
ormai quindici anni che Eleni Mandell figura nelle liste delle più talentuose
songwriters di nuova generazione. Tanto che, ormai arrivati all'ottavo album la
persistenza dell'aggettivo "nuovo" negli articoli a lei dedicati è solo più una
testimonianza dell'immobilismo della musica degli anni zero. La Mandell di strada
ne ha fatta tanta, e soprattutto ha probabilmente girato i locali del mondo (ma
soprattutto europei), presentando il suo folk ammantato da atmosfere da club con
un misto di eleganza e cialtronaggine ubriacona alla Tom Waits, che ha sempre
acceso l'attenzione nei suoi confronti. Eppure a ben guardare alla sua discografia
manca ancora il disco che convinca tutti, destino che l'accomuna a molte artiste
femminili dell'ultimo decennio e su cui ci sarebbe da fare una riflessione ben
più approfondita.
In ogni caso lei ha il suo seguito consolidato ormai,
che siamo certi non mancherà di apprezzare anche questo I Can See The Future,
nuova fatica pubblicata sempre dall'etichetta canadese Zedtone in patria (Yep
records per il mercato europeo). Che fin dalle suadenti note di Magic
Summertime e Now We're Strangers
denota subito una brusca virata verso un pop elegante e styloso, coperto da tastiere,
archi (realizzati sinteticamente da Nathaniel Walcott dei Bright Eyes) e persino
fiati old-style (la deliziosa I'm Lucky).
Un impasto magniloquente gestito con professionalità da Joe Chiccarelli (Shins
e Whites Stripes tra i tanti prodotti) per una serie di brani che non nascondono
la loro natura folk d'origine, evidenziata laddove la Mandell decide di lavorare
per sottrazione come nella tenue Desert Song.
La vena però inizialmente pare delle migliori, anche quando Eleni s'impigrisce
sul ritmo suadente di Who You Gonna Dance With,
beach-song impreziosita dalla slide di Greg Leisz e dai fiati di Steve Berlin
dei Los Lobos, o quando gioca a fare la Nancy Sinatra in compagnia di Lee Hazlewood
con il giovane songwriter Benji Hughes, coinvolto in un bel numero sixty-pop
come Neve Have To Fall In Love Again.
Il
disco ha però i suoi passaggi a vuoto (l'accoppiata Crooked Man e Bun
In The Oven allenta troppo la tensione), e magari spesso si adatta su soluzioni
di maniera in mancanza di ispirazione migliore (la jazzata So
Easy, impreziosita comunque dalla batteria di Joey Waronker). Il problema
di I Can See The Future è proprio questo, che spara nella prima parte una serie
di convincenti cartucce, ma si siede proprio quando sarebbe il momento di affondare
il colpo, accontentandosi di brani minori come Looking
To Look For o il dark-country un po' affettato di
Don't Say No. Un po' lo specchio della carriera di Eleni Mandell, regina
del "vorrei ma non posso", che anche questa volta ci lascia a metà del guado con
la sensazione che abbia perso l'ennesima occasione buona.