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indie folk di
Fabio Cerbone (12/04/2012)
L'ennesimo
bel disco di Damien Jurado, ma questa volta forse c'è qualcosa di più.
La regolarità con cui tocca constatare la qualità media delle uscite di questo
folksinger è pari alla sua proverbiale oscurità, a quella timidezza di suoni che
diviene anche una sorta di condotta di vita, songwriter che fra tutti quelli spuntati
dopo la rivoluzione alterntive rock degli anni Novanta è sembrato fra i più ingiustamente
ignorati. Alternando luoghi oscuri e momenti di pura grazia, il suo percorso ha
conosciuto sbalzi di umore a volta persino spiazzanti, ma il binomio artistico
creato con Richard Swift (menestrello pop con una predilezione per "pasticciare"
alto e basso, bassa fedeltà e una certa grandeur produttiva) a partire
dal precednete Saint
Bartlett pare avere giovato molto alla scrittura di Jurado, che oggi
replica e addirittura amplia questo felice incontro con il suo disco più variegato
e maturo.
Si dirà di Maraqopa che è appunto l'album della
raggiunta saggezza, qualcuno lo leggerà come il classico passaggio all'età della
ragione, distanziandolo dai lavori più scontrosi di inizio carriera, ma di fatto
nella sua alternanza di ballate disadorne, flash improvvisi di folk allucinogeno
e estasi pop colorata si caratterizza come una delle opere più profonde che certo
cantautorato indie folk abbia regalato in tempi recenti. A cominciare proprio
da una Nothing Is the News che risulta quasi
spiazzante per lo stesso Jurado: un viluppo di orizzonti western e neo-psichedelia
che rimanda al Jonathan Wilson di Gentle Spirit, con l'eccezione che Damien Jurado
vanta una presenza più lunga sul campo. È un suono sorprendente tanto quanto i
cori infantili, estasiati e la voce tristanzuola che accompagnano la stranita
Life Away from the Garden. Nella sua lettura
del mondo, sempre malinconica e densa di piccole rivelazioni, Jurado non perde
quella visione che giustamente Yuri Susanna su queste pagine definì "carveriana":
come il grande maestro di short stories Raymond Carver anche Damien infatti scova
poesia nei dettagli della vita e delle persone.
La musica ne sottilinea
i passaggi, evitando però qualche approsimazione che rendeva a tratti indecisa
l'ispirazione passata: oggi tutto è calibrato e nel balzo dalla desolazione acustica
della title track all'imbambolata melodia di This Time
Next Year, pare di sentire Jason Molina (Songs: Ohia), altro discepolo
dell'inquietudine folk anni 2000, in una versione più eccentrica e orientata ai
sixties (sentite il tremolio delle chitarre e la ritmica). Tra riverberi, effetti
morriconiani e una brillante produzione che mette insieme, non si sa come, il
Neil Young di Tonight's the Night con Phil Spector (Reel
to Reel, sorprendente, tanto quanto il dolcissimo incastro di voci
in Working Titles), Maraqopa è un disco che
risolve brillantemente i costrasti, fecendoli apparire come un corpo unico. Così
l'organo distante e la calma pacifica di Everyone a Star
si sovrappone agli orizzonti western di So On, Nevada,
congiungendosi nella sintesi di Mountains Still Asleep.
La solitudine a cui spesso è stata associata la musica di Damien Jurado sembra
oggi avere affrancato le sue canzoni, lasciandole libere di correre.