Steve Gunn
Time Off
[
Paradise of Bachelors 2013]

www.steve-gunn.com

File Under: psychedelic folk

di Fabio Cerbone (20/09/2013)

Gli aggettivi che inevitabilmente ricorreranno di più accanto alla musica di Steve Gunn saranno ipnotica, rapita, metafisica, seguendo una linea che distingue il carattere libero di queste composizioni. Tutto vero, anche se il rischio di una facile banalizzazione di un album come Time Off è dietro l'angolo: d'altronde il chitarrista newyorkese non fa nulla per nascondere il suo percorso artistico, quelle intenzioni che tradotte in note lo inseriscono in una precisa corrente, quel folk dalle trame psichedeliche che parte dalla radici americane e si intreccia fra cielo e terra con il mistero di una musica esotica, sulle vie che dall'Africa portano in India. Discepolo di John Fahey, Robbie Basho e collaboratore di Micheal Chapman, nomi che circoscrivono già un mondo, amico della tragica figura di Jack Rose, altro cantore dello psych folk contemporaneo, infine partner artistico di Meg Baird e soprattutto di Kurt Vile (in tour con la band di quest'ultimo, The Violators), Gunn disegna il suo tragitto affermando di partire dalle rive del Delta del Mississippi per approdare alla meno conosciuta formula della tradizione Gnawa (area del Marocco) e Canartica dell'India meridionale.

Quanto tutto questo si sia tradotto nelle sue opere è persino difficile da decifrare, perché fedele al basso profilo della scena indipendente, Gunn ha disseminato la sua produzione copiosa e frastagliata fra edizioni limitate e introvabili, persino antiquate cassette, dividendosi tra le pubblicazioni con il trio GHQ (Pete Nolan e Marcia Bassett gli altri compagni di avventura), il duo con il percussionista John Truscinski e i dischi solisti veri e propri. Time Off in questo nebuloso cammino è forse uno dei progetti più accessibili e classici, lì dove sei tracce su sette portano allo scoperto la voce distante, assonnata di Gunn, quasi uno strumento nello strumento che diventa parte del tutto, avvolta nel mix generale. Registrato con la formula del trio, aggiungendo il basso di Justin Tripp al fedele ritmo di Truscinski, il disco serpeggia per quaranta minuti di lunghe litanie che tuttavia si aprono improvvisamente a squarci di melodia (Water Wheel in apertura) e librano frammenti blues elettrici (nella splendida Lurker) in un'atmosfera per buona parte acustica.

Raga incantevoli e ripetitivi accompagnano lo stile di Gunn, che riesce miracolosamente ad essere meno stilizzato di quello del collega Vile, conservando un fascino più ancestrale: accade nelle curve jazzy che attraversano il blues lisergico e imbambolato di New Decline o ancora nei rintocchi "sinistri" della dilatata Old Strange. Pur nella sua magrezza di suono, Time Off si nutre del perfetto intreccio del trio, sublimato in qualche modo nel finale strumentale di Trailways Ramble, quasi nove minuti di zigzagare acustico tra folk e avanguardia con un tappeto di violoncello che rimanda ai Velvet Undergournd. Un'opera che attira e respinge, come molta della memoria da cui attinge a piene mani, eppure svela un musicista assolutamente da scoprire.


     


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