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folk noir, indie pop di
Fabio Cerbone (12/12/2012)
Il
nome lo hanno rubato ad uno dei capisaldi di Leonard Cohen (New Skin for the Old
Ceremony, storico album del 1974) e una canzone come Day
That I Was Born sembra proprio introiettare tutto lo spleen e l'agrodolce
malinconia folk del maestro, ma nella musica degli Old Ceremony si muovono
pulsioni e influssi che per fortuna non si fermano al semplice tributo o peggio
alla pura imitazione. Questo anche perché la band guidata dall'autore e voce solista
Django Haskins è sulla strada da parecchi anni, avendo esordito nel 2005 con l'omonimo
album ed essendo passata attraverso una serie di cambi di formazione e di etichetta,
fino all'attuale firma per la Yep Roc. Il debutto ufficiale con Fairytales
and Other Forms of Suicide è anche il biglietto da visita internazionale
che ci permette di conoscere meglio il folk rock ingentilito della formazione
di Chapel Hill, fervida cittadina universitaria del North Carolina, da sempre
animata da una ricca scena indipendente.
Haskins è approdato qui dopo
una tipica serie di giravolte e vagabondaggi: dalla sua nativa Florida verso New
York, innanzi tutto, dove ha dato vita all'avventura dei Django & the Regulars,
tre dischi all'attivo dalla fine degli anni Novanta; quindi, alternando gli studi
e il lavoro (ha pure insegnato lingua inglese in Cina), l'arrivo in North Carolina
e l'idea di coalizzare intorno al suo songwriting numerosi musicisti locali, prima
nel progetto International Orange, quindi negli attuali The Old Ceremony, con
l'interessante presenza di Mark Simonsen all'organo, tastiere e vibrafono e Gabriele
Pelli al violino. L'ensemble così formato ha riscosso i suoi apprezzamenti all'indomani
de successo locale di Our One Mistake, opera del 2006 che la rivista Paste segnalò
fra le migliori dell'anno, proseguendo poi sul tracciato con altri due lavori
e soprattutto numerose collaborazioni in campo cinematografico, firmando colonne
sonore e singole partecipazioni musicali in diversi lungometraggi.
Le
ragioni di una simile fascinazione per il cinema si comprendono all'ascolto dell'indie
folk un po' cameristico e sovente dalle morbide trame psichedeliche che accompagna
episodi come l'iniziale Star By Star (singolare
il mood creato dal vibrafono e il nervosismo chitarristico vagamente "waitsiano"
del finale) o Beebe Arkansas (con la seconda
voce dell'ospite Christy Smith). Insieme alle trame dark della stessa Fairytales
and Other Forms Of Suicide, ballata country gotica con scrosci elettrici,
rappresentano il campionario migliore di una band che ha stile e portamento, ma
sembra spesso mancare del graffio vincente, del colpo da ko. Haskins esibisce
una voce mansueta, non esente da qualche rischio di noia, che si adatta spesso
ad episodi più squisitamente Americana (la scorrevole Sink Or Swim, una
The Royal We dal tessuto rurale), dentro una matrice tradizionalista
che mantiene però le distanze dal genere. Un po' come avessero appreso alternativamente
la lezione di Wilco e Lambchop (ed episodi quali Catbird Blues e Feet
Touch The Ground ne danno testimonianza), ma senza possedere altrettanta
personalità. Bravi si, ma come tanti a ricorrere tra i rincalzi.