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indie folk, pop acustico di
Fabio Cerbone (21/01/2013)
Musica
uggiosa e dolcissima, per mattine in cui la nebbia non vuole proprio saperne di
alzarsi dal terreno, il secondo lavoro del progetto True Bypass nasce intorno
ai testi dello scrittore inglese Toby Litt, successivamente adattati alla voce
di Chantal Acda, con la quale è nato un profondo rapporto di amicizia alla base
della stessa collaborazione. Il direttore d'orhestra, per così dire, è invece
il ruolo ritagliatosi dallo scozzese Craig Ward, l'altra metà dei True Bypass,
duo dalle brume folk che aggiunge pochi orpelli alla trama diafana, un po' evenescente
delle sue ballate. La casa discografica scomoda il pesante fardello di Richard
e Linda Thompson e del capolavoro I Want to See The Bight Lights, forse
legittimamente per attirare le attenzioni, ma siamo con tutta franchezza al limite
del senso del ridicolo.
Lasciando in disparte confronti insostenibili
e anche fuorvianti, Toby è preferibilmente ascrivibile a quel nuovo
folk espressione degli anni duemila, dove una fragile sensibilità pop si sposa
con la tradizione, mai uscendo dal recinto protettivo delle sue melodie. La voce
fievole di Chantal Acda, musicista olandese trasferitasi in Belgio al seguito
delle sue esperienze con Sleepingdog e Isbells (spesso da spalla in tour con Lambchop,
Calexico, Iron & Wine e altri protagonisti) pennella con una sola tonalità questi
trentacinque minuti di struggenti confessioni d'amore, mentre Ward, un breve passato
nei dEUS prima di dare vita al progetto The Love Substitutes, ricama acustico,
cercando qualche piccolo spazio di apertura per le melodie. L'effetto culla e
affascina in un primo momento, salvo arenarsi in otto episodi che non hanno cambi
di umore, se non impercettibili fragranze dettate da qualche strumento di contorno.
Vi sono infatti da registrare i ricami un po' "esotici" di marimba e vibrafono
nella mani di Eric Thielemans, l'omnichord di Gianni Marzo e i fiati di Gerd van
Mulders, scenario delicato che forma la tavolozza dei True Bypass senza intaccare
la radice di brani quali You Knew e What
Do You Think the Chances Are, quest'ultima tra le perle pop più cristalline
del disco. Non si negherà certo tutta la grazia possibile al gioco di armonici
di chitarra in Hopes Up High, così come al
morbido rincorrersi delle voci in Trappers e I
Cried Enough, ma l'insieme è tedioso e alla lunga stucchevole. E pensare
che con quel nome - true bypass, definizione del segnale ben nota a molta effettistica
dei chitarristi rock - ci si poteva aspettare una scarica di elettricità, persino
un sussulto garage punk. Ci ritroviamo invece tra carezze e un brusio acustico
che non riesce a scacciare del tutto la noia.