Se è vero che la scena
rock inglese dell’ultimo decennio è stata dominata da gruppi di area post-punk
come Idles, Fontaines DC, Dry Cleaning e Yard Act, c’è anche una scena
minoritaria che si richiama all’Americana con influenze folk e psichedeliche
e che ha come portabandiera i King Hannah. Duo formato dal chitarrista
di Liverpool Craig Whittle e dalla cantante e chitarrista gallese Hannah
Merrick, hanno esordito con un Ep nel 2020 seguito dall’album I’m Not
Sorry, I Was Just Being Me e ora da Big Swimmer, che
sembra avere fatto breccia sia in una quota di appassionati più giovani,
sia tra ascoltatori legati ad un suono chitarristico classico ispirato
da nomi come Neil Young & Crazy Horse o i Dream Syndicate con un pizzico
di Sonic Youth degli anni Novanta. Ma il suono dei King Hannah è egualmente
debitore dei Velvet Underground e della psichedelia morbida ed eterea
di Opal e Mazzy Star, rievocati dalla voce di Hannah in cui si ritrovano
elementi di PJ Harvey e Hope Sandoval, un misto di innocenza, sensualità
e malinconia.
Proprio dal contrasto tra questi elementi, durezza e quiete, asprezza
e desiderio, atmosfere sognanti e sferzate chitarristiche, emergono le
canzoni e i momenti più efficaci della musica del duo. A differenza dell’album
precedente, Big Swimmer è stato registrato dal vivo in studio in
pochi giorni con la sezione ritmica formata dal nuovo bassista Conor O’Shea
e dallo storico batterista Jake Lipiec, guidati dall’ingegnere e produttore
Ali Chant, che ha lavorato in passato, tra gli altri, con PJ Harvey, M.
Ward, Perfume Genius, Geoff Rhys e Algiers, mentre i testi sono stati
fortemente influenzati da immagini e impressioni raccolte nel corso del
tour americano della band.
L’apertura di Big Swimmer,
che si avvale anche della voce di Sharon Van Etten, tratteggia gli elementi
principali dei King Hannah: una prima parte acustica dominata dalle tonalità
morbide e nostalgiche di Hannah, quindi l’entrata della chitarra che la
affianca in modo sempre più incisivo fino all’assolo distorto. Il ritmato
indie-rock di New York, Let’s Do Nothing in parte recitato e infiammato
dalle schitarrate di Craig si contrappone all’ipnotica e sensuale The
Mattress in cui si insinua una chitarra abrasiva, mentre il mid-tempo
Milk Boy ripropone al meglio il contrasto
tra la voce in modalità spoken e la chitarra ruvida.
Al centro del disco emergono le due tracce più lunghe: Suddenly, Your
Hand dall’andamento lento che cresce nel break strumentale melodico
e commovente e la cinematografica Somewhere Near
El Paso, tesa e languida nella prima parte, sferzante nella
seconda guidata dalla chitarra solista. Nel finale, dopo la morbida (almeno
in apparenza) Lily Pad e la ritmata Davey Says spiccano
la sognante This Wasn’t Intentional, nella quale torna ai cori
Sharon Van Etten e la ballata country-folk John
Prine On The Radio, che confermano la crescita complessiva
del duo dal punto di vista compositivo e interpretativo.