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King Hannah
Big Swimmer
[City Slang 2024]

Sulla rete: kinghannah.com

File Under: psych-americana from the UK


di Paolo Baiotti (17/06/2024)

Se è vero che la scena rock inglese dell’ultimo decennio è stata dominata da gruppi di area post-punk come Idles, Fontaines DC, Dry Cleaning e Yard Act, c’è anche una scena minoritaria che si richiama all’Americana con influenze folk e psichedeliche e che ha come portabandiera i King Hannah. Duo formato dal chitarrista di Liverpool Craig Whittle e dalla cantante e chitarrista gallese Hannah Merrick, hanno esordito con un Ep nel 2020 seguito dall’album I’m Not Sorry, I Was Just Being Me e ora da Big Swimmer, che sembra avere fatto breccia sia in una quota di appassionati più giovani, sia tra ascoltatori legati ad un suono chitarristico classico ispirato da nomi come Neil Young & Crazy Horse o i Dream Syndicate con un pizzico di Sonic Youth degli anni Novanta. Ma il suono dei King Hannah è egualmente debitore dei Velvet Underground e della psichedelia morbida ed eterea di Opal e Mazzy Star, rievocati dalla voce di Hannah in cui si ritrovano elementi di PJ Harvey e Hope Sandoval, un misto di innocenza, sensualità e malinconia.

Proprio dal contrasto tra questi elementi, durezza e quiete, asprezza e desiderio, atmosfere sognanti e sferzate chitarristiche, emergono le canzoni e i momenti più efficaci della musica del duo. A differenza dell’album precedente, Big Swimmer è stato registrato dal vivo in studio in pochi giorni con la sezione ritmica formata dal nuovo bassista Conor O’Shea e dallo storico batterista Jake Lipiec, guidati dall’ingegnere e produttore Ali Chant, che ha lavorato in passato, tra gli altri, con PJ Harvey, M. Ward, Perfume Genius, Geoff Rhys e Algiers, mentre i testi sono stati fortemente influenzati da immagini e impressioni raccolte nel corso del tour americano della band.

L’apertura di Big Swimmer, che si avvale anche della voce di Sharon Van Etten, tratteggia gli elementi principali dei King Hannah: una prima parte acustica dominata dalle tonalità morbide e nostalgiche di Hannah, quindi l’entrata della chitarra che la affianca in modo sempre più incisivo fino all’assolo distorto. Il ritmato indie-rock di New York, Let’s Do Nothing in parte recitato e infiammato dalle schitarrate di Craig si contrappone all’ipnotica e sensuale The Mattress in cui si insinua una chitarra abrasiva, mentre il mid-tempo Milk Boy ripropone al meglio il contrasto tra la voce in modalità spoken e la chitarra ruvida.

Al centro del disco emergono le due tracce più lunghe: Suddenly, Your Hand dall’andamento lento che cresce nel break strumentale melodico e commovente e la cinematografica Somewhere Near El Paso, tesa e languida nella prima parte, sferzante nella seconda guidata dalla chitarra solista. Nel finale, dopo la morbida (almeno in apparenza) Lily Pad e la ritmata Davey Says spiccano la sognante This Wasn’t Intentional, nella quale torna ai cori Sharon Van Etten e la ballata country-folk John Prine On The Radio, che confermano la crescita complessiva del duo dal punto di vista compositivo e interpretativo.


    


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