Parafrasando un vecchio successo melodico italiano
che si poneva la questione sugli anni 80, alla domanda “Cosa resterà degli
anni 90?” potremmo rispondere oggi “ben poco”. Tra morti eccellenti, e
personaggi che hanno dato il meglio in una breve stagione, se analizziamo
quanto i protagonisti dei primi anni del decennio (quando si parlava di
“risveglio rock” con “grunge” e affini), stiano ancora dettando legge
nella musica dei giorni nostri, i nomi non sono tantissimi. Greg Dulli
è uno di quelli che bene o male ha resistito negli anni, uscendo magari
spesso dai radar della critica più esigente, ma mantenendo comunque sempre
viva l’attenzione anche con le avventure dei Twilight Singers (quattro
album) e dei Gutter Twins con Mark Lanegan.
Dal 2014, a parte l’esordio solista del 2020, ha ripreso la pubblicazione
con la sua sigla storica Afghan Whigs, e non nascondo che fino
ad oggi, nonostante gli album Do to the Beast (2014) e In Spades
(2017) fossero dignitosi , la sensazione di una resa al revival e alla
nostalgia era forte, considerando che poi oggi, con lui, della formazione
originale resta solo il bassista John Curley. La storia degli Afghan Whigs
si era interrotta ancor prima dell’arrivo degli anni 2000, come quella
di tanti gruppi di quel decennio, abituati a vendite oggi impensabili
per gruppi che comunque maneggiano un rock alternativo e sotterraneo che
ai tempi aveva il vantaggio di essere anche di moda. Il capitolo finale
di 1965 aveva lasciato un po’ un boccone amaro, dopo album che
hanno fatto la storia come Congregation, Gentleman e mettiamoci
anche Black
Love, e fino ad oggi Dulli non era ancora riuscito a ricucire
quella piccola ferita.
L’occasione buona potrebbe essere questo terzo capitolo della nuova era,
How Do You Burn?, titolo che già suggerisce un quesito importante,
e cioè cosa può infiammare una generazione di ultracinquantenni (lui ne
ha 57) che vive di ricordi e con la netta sensazione che la festa del
rock sia finita da anni? Un disco come questo, “vecchio” forse, ma che
ritrova il fuoco di canzoni emotivamente forti, urlate col cuore, con
una serie di complicati arrangiamenti che richiamano volutamente il sound
del mitico Gentleman, come testimonia anche l’aver richiamato in
Domino and Jimmy la bella voce di Marcy
Mays, che di quell’album fu valore aggiunto. Una lacrima scende inevitabile
quando nei cori di Jyja si riconosce
proprio il vocione di Lanegan, oppure quando Dulli sfodera qualche ballata
come Concealer, ma poi è sempre il suono a metà tra stoner rock
e blues che, fin dall’inizio quasi zeppeliniano di I’ll Make You See
God alla conclusione maestosa di In Flames,
la fa da padrone. A parte qualche esperimento tutto sommato riuscito come
Catch a Colt, il disco ha un approccio decisamente accattivante
e “streaming-friendly”, e, fossimo in altri tempi, sarebbe anche stato
un bel contenitore di singoli di successo.
Gli Afghan Whigs saranno sempre un nome che ci evoca gli anni Novanta,
ma How Do You Burn? ci ricorderà di quella volta che, spostando
un po’ di cenere, abbiamo trovato ancora brace infiammata per accendere
un antico fuoco.