Una barca che solca i mari del Nord e un’orchestrina
folk a bordo, dalla Scozia in direzione della terra scandinava. Avevamo
lasciato James Yorkston alle prese con i toni eterei e bucolici
di The
Route to the Harmonium, sorta di ricognizione su un’intera
carriera spesa dal folksinger scozzese per tenere insieme la tradizione
locale e traghettarla nel nuovo millennio. Lo ritroviamo oggi in The
Wide Wide River con l’opera più corale e immediata della sua lunga
produzione. Un album che fa della spontaneità, anche nella stessa registrazione,
la sua chiave di lettura: tre giorni di incisioni in libertà, senza una
sceneggiatura precostituita, con un gruppo di musicisti svedesi ribattezzati
The Second Hand Orchestra, sotto la direzione dell’amico e produttore
Karl-Jonas Winqvist, conosciuto da Yorkston anni addietro attraverso il
progetto The Fence Collective.
Il risultato galvanizza ed espande lo spettro sonoro della sua musica,
mai come in questa occasione votata ad una libertà espressiva nella quale
il linguaggio folk lascia fluire atmosfere istintive, trame elettro-acustiche
nelle quali The Second Hand Orchestra asseconda l’umore, ora gioioso,
ora riflessivo, dello stesso Yorkston. Con la partecipazione, tra gli
altri, di Peter Morén (Peter, Bjorn & John), Cecilia Österholm (nyckelharpa),
Emma Nordenstam (piano e violoncello) e Ulrika Gyllenberg (l’onnipresente
e determinante violino), The Wide, Wide River appare più il riflesso
di uno scambio reciproco di sensazioni sonore che non il parto di un singolo
musicista. La sola Ella Mary Leather,
peraltro agrodolce e trascinante introduzione alle trame folkeggianti
e collettive del disco, è stata presentata da Yorkston in anteprima alla
Second Hand Orchestra. Tutto il resto insegue l’estro del momento, non
restituendo affatto l’idea di una musica raffazzonata, semmai un sobbalzare
di improvvisazioni e intrecci che rendono The Wide, Wide River
l’esatto contraltare dello sperimentalismo che spesso ha guidato la produzione
di James Yorkston (siamo in antitesi, per esempio, rispetto al progetto
Yorkston/Thorne/Khan).
Qui l’impressione è semmai quella di avere a che fare con un dimesso e
affascinante aggiornamento del lirismo dei Waterboys, una jam dalla cadenza
indie folk della band di Mike Scott che si svela nelle trame di To
Soothe Her Wee Bit Sorrows e in quelle incalzanti di There
Is No Upside, mentre Struggle,
lettera d’amore e di vita spedita idealmente da James Yorkston ai figli,
si tinge persino di colori pastello e psichedelici nel tono delle chitarre.
L’accennato ruolo delle voci, e la coralità avvolgente e zingaresca restituita
dalla Second Hand Orchestra risaltano infine negli arrangiamenti di Choices,
Like Wild Rivers e A Very Old-Fashioned
Blues, un po’ come se Bonnie Prince Billy si fosse mirabilmente
perso tra le brume scozzesi, sebbene il piccolo gioiello dell’intero The
Wide, Wide River si intitoli A Droplet Forms,
un vagare ramingo di strumenti e poesi acustica.