Non manca il senso del rischio a Ryley Walker,
una costante revisione del suo linguaggio musicale, qualcosa che forse
dipende dai suoi stessi luoghi oscuri, essendo un artista e un uomo con
più di un fantasma appollaiato sulle spalle. Da qui l’impressione che,
strada facendo, imbrigliare la sua opera in uno stereotipo sarà sempre
più complicato. La risposta è nei sette brani e nei quaranta minuti di
Course in Fable, il primo album di materiale non strumentale,
se si eccettua l’eccentrico esperimento di The
Lillywhite Sessions, da tre anni a questa parte. Un periodo
trascorso abbandonandosi in mille rivoli e collaborazioni, che sono sempre
stati il confronto quotidiano per alimentare il fuoco della sua ispirazione,
e che tuttavia qualche volta sentono l’esigenza di tornare sulla via principale,
tagliando adesso il traguardo del quinto album ufficiale.
Il seguito ideale di Deafman
Glance ribadisce lo scarto “progressivo” dell’autore di Chicago,
ora trasferitosi a New York: sulla linea più cerebrale che ha assunto
il suo gesto musicale, Ryley Walker sembra abbandonare quasi del tutto
il lirismo folk degli esordi, quella pastoralità che caratterizzava dischi
rivelazione come Primrose
Green e che via via si è sfilacciata in trame ritmiche più
complesse, se non del tutto arzigogolate, in melodie nascoste fra sperimentazioni
più ardite. Un bene o un male a seconda delle inclinazioni personali d’ascolto,
ma la verità forse la conosce soltanto Walker, che di certo non ha svenduto
la ricerca della sua arte, qui messa a contatto con una sorta di padre
spirituale per la sua formazione di musicista, quel John McEntire, maestro
del post rock di Chicago, che produce e smussa con interventi risolutivi,
facendo di Course in Fable un omaggio nemmeno tanto celato alla
stagione musicale cittadina vissuta negli anni Novanta (dai fondamentali
Tortoise a Jim O’Rourke).
Insieme a una quartetto completato da collaboratori fidati di Ryely Walker
- Andrew Scott Young (Health & Beauty) al basso, Bill Mackay alla seconda
chitarra e piano, Ryan Jewell alla batteria - l’intero album sguscia tra
momenti di improvvisazione e scansioni rimiche figlie di Krautrock, musica
cosmica e scie prog, di tanto in tanto facendo affiorare ancora un rivolo
di folk dalle tinte psichedeliche. Per nulla accomodante nel suo sviluppo,
Course in Fable richiede una sintonia assoluta per entrare in contatto
con le sue eccentricità e quel procedere sonico che lo contraddistingue:
i contorni jazz rock di Striking Your Big Premier e l’apertura
melodica del canto cercano di farci accomodare, e altrettanto la leggadria
di Rang Dizzy, con l’incontro tra
folk rock e progressive, forse l’episodio più affezionato al passato di
Ryley insieme alla conclusione di Shiva With Dustpan, persino con
una delicata sezione d’archi arrangiata da Douglas Jenkins. L’apparizione
di A Lenticular Slap è già un’altra
storia, il suo ordito di chitarre e l’inseguirsi di accelerazioni/decelarazioni
segna uno stacco che avrà uno sviluppo nella più scontrosa Axis Bent,
pronta a deragliare in un finale da cacofonia noise rock, mentre Clad
with Bunk allarga le maglie psichedeliche. Il punto di non ritorno
è collocato in Pond Scum Ocean, beat
elettronici su incedere post rock minimalista che potrebbero coinvolgere
i Wilco più avventurosi.
Un po’ astratta, spesso e volentieri impressionistica e criptica nella
stessa stesura dei testi, la scrittura musicale di Ryley Walker è un codice
da decifrare nella sua mente.