Chimica artistica naturale quella che si sviluppa
tra la voce di Will Oldham (in arte Bonnie Prince Billy) e le chitarre
di Matt Sweeney, connubio musicale che aveva conosciuto una fugace
collaborazione discografica nel 2005, attraverso il progetto denominato
Superwolf, e che oggi si “moltiplica” in una nuova inattesa condivisione,
Superlwolves. La differenza non è soltanto nel gioco di
parole declinato al plurale, ma in un’intesa che si è fatta via via più
sentimentale e intima, una messa in comune di idee, arrangiamenti e canzoni
che il duo ha cominciato a intarsiare cinque anni fa, lasciando decantare
il materiale per molto tempo.
La differenza si coglie e così Superlwolves appare meno umorale
e chiuso del suo predecessore, concepito in due differenti sessioni tra
Brooklyn (quelle curate da Sweeney) e Nashville (quelle gestite da Bonnie
Prince Billy), con i due protagonisti impegnati a spedirsi a vicenda bozze
delle liriche e appunti musicali, e ai quali si sono infine aggiunti gli
apporti strumentali degli ospiti (presenza contenuta quella della band,
va detto), soprattutto le comparse dei musicisti tuareg Mdou Moctar e
Ahmoudou Madassane, i quali influenzano con le spirali delle loro chitarre
i tre episodi più avventurosi della raccolta, la volteggiante Hall
Of Death, una più dilatata Shorty’s Ark e il piccolo
gioiello I Am A Youth Inclined to Ramble.
Superwolves non sorprende per chissà quale ignota formula, visto anche
che Sweeney e Oldham si frequentano più o meno regolarmente da una ventina
d’anni, anche fuori dalle pubblicazioni ufficiali, quanto per il senso
di spontaneità che restituisce la sua forma musicale: il continuo rincorrersi
fra la bellezza vulnerabile della voce e dei testi (crudi e accorati al
tempo stesso, con quel loro carico di stupore) di Bonnie Prince Billy
da una parte, e le evoluzioni e i delicati arpeggi delle chitarre di Sweeney
dall’altra, mette al riparo il disco dalla facile accusa di riprendere
linguaggi già noti ai due artisti.
Non ci saranno forse particolari rivelazioni nella tensione latente e
un po’ acidula del primo singolo Make Worry for
Me o della speculare Not Falling in chiusura, tra le
preghiere folk elettrificate di God is Waiting e Good to My
Girls o nel vagabondare acustico di Resist the Urge, My
Blue Suit e You Can Regret What You Have Done, ma quanta delicata
armonia traspare da queste canzoni, una capacità che solamente il Bonnie
Prince Billy che sa dosare mestiere e ispirazione riesce a catturare,
mentre Matt Sweeney, musicista con una visione produttiva più volte dimostrata
negli anni, completa il quadro con le sensibili pennellate di colore del
suo strumento (e le armonizzazioni vocali, ciò non va trascurato), rendendo
Superwolves un disco semplicemente sincero.