E’ ascoltando il quarto album del cantautore britannico
Benjamin Francis Leftwich che ci si rende conto come la canzone indie-folk
maturata tra gli anni Novanta e Duemila (diciamo di derivazione “Nickdrakiana”
per dare un riferimento storico) sia ormai un genere a sé che si è radicato
a tutti i livelli, sia quello della scena alternativa indipendente da
cui è scaturito, sia ormai anche nel mainstream internazionale. Un bene
in fondo, perché il fenotipo del cantautore timido che sussurra la sua
intimità con una chitarra acustica e poco altro, è comunque sempre in
linea con le strade della tradizione che ci piace continuare a sondare,
anche in questi anni di gran confusione del mondo musicale mondiale. Benjamin
Francis Leftwich viene da York, ha esordito nel 2011 in ritardo sulla
la storia del suo genere, ma abbastanza in tempo per diventare un punto
di riferimento anche per molti giovani ascoltatori, a giudicare dal buon
seguito registrato nelle piattaforme streaming.
Prima dell’uscita di questo To Carry a Whale, Leftwitch
aveva pubblicato online alcune cover degli Arcade Fire, Placebo, Killers
e Blue Nile, un percorso che rende evidente come abbia le idee chiare
su dove collocare la continuità storica della sua musica, ma poi in una
intervista citò Ryan Adams come prima ispirazione contemporanea, e i conti
tornano tutti. Voce soffice ed eterea alla Bon Iver, giri di chitarra
da vecchia scena folk, tastiere ed effetti a condire, e pure qualche flauto
a sottolineare la melodia: l’apertura di Chery
in Tacoma dice già tutto sull’obiettivo di album e artista,
ma è anche uno dei brani più arrangiati del disco dal produttore Eg White
(Adele, Florence & The Machine), perché già Oh My God Please riduce
tutto ad un gioco tra le voci e la chitarra. Quello che rende particolare
la proposta è comunque il suo modo di cantare inesorabilmente “british”,
che a volte ricorda quello di Ian McNabb (ad esempio in Canary
in a Coalmine, brano che racconta anche della sua uscita dall’alcolismo,
tanto che il disco viene presentato come il suo primo ad essere stato
registrato da sobrio).
Rispetto ai dischi precedenti come Gratitude del 2019 o After
The Rain del 2016 c’è molto meno uso di elettronica e tastiere, anche
se Tired in Niagara o Everytime I see a Bird non si negano
un crescendo finto-orchestrale e Wide Eyed Wandering Child si poggia
su una non invadente drum-machine. Il disco si adagia pian piano nel suo
involuto folk, con poche variazioni sul tema (in Slipping Through My
Fingers appare un piano alla Pink Moon) e tanto evidente amore per
autori come Jose Gonzalez, fino al veloce folk-pop finale di Full
Full Colour che chiude in maniera più spensierata un album
comunque cupo e decisamente intimista.
To Carry A Whale è un capitolo molto personale di Leftwitch, che
forse non gli porterà grandi nuovi onori (il suo esordio Last Smoke
Before the Snowstorm ricevette molte attenzioni nel 2011), ma resta
una nuova valida testimonianza di come non serva essere per forza originali
e innovativi quando si hanno delle buone canzoni.