Artista da sempre votato a una lunga serie di progetti
e collaborazioni, Hugo Race torna dopo cinque anni a riunire la
sua band principale, i True Spirits, dopo i grandi onori ricevuti
dall’ottimo The Spirit del 2015. È singolare notare che se il loro
esordio arrivò negli anni della caduta del Muro di Berlino, forse il momento
più permeato di ottimismo sul futuro della storia del secolo scorso, questa
loro quindicesima fatica, intitolata Star Birth (che esce
direttamente con un cd di bonus tracks strumentali intitolato Star
Death), nasce invece in uno dei momenti più cupi, e cioè tra gli incendi
apocalittici che hanno devastato l’Australia e l’esplosione della pandemia
del Covid-19.
Registrato a Melbourne tra il 2019 e il 2020 nel pieno di un inferno,
il disco riflette quindi l’inevitabile pessimismo suggerito dalla situazione.
Sospeso a metà tra le sonorità che da sempre lo caratterizzano, nel guado
tra il dark-roots dei Walkabouts e ovviamente la scuola Nick Cave & The
Bad Seeds da cui proviene, l’album ingloba anche tutte le altre strade
intraprese, siano esse il side-project dei Dirtmusic creato con Chris
Eckman, o la curiosa rilettura del songbook di John Lee Hooker creata
tre anni fa con l’artista molisano Michelangelo Russo, ormai considerato
parte integrante del combo, e che incide non poco nel nuovo suono della
band con le sue sperimentazioni elettroniche. Il primo brano, Can’t
Make This Up, è una sorta di lugubre rap dal testo oscuro ma con un
finale positivo (We did overcome…), e se 2dead2feel
è un brano che rispetta in pieno la sua marca stilistica, la
ballata Darkside è un superbo testo
che ricorda molto le sue cose più roots-oriented fatte con i Fatalists
(recuperato l’album dello scorso anno Taken
by the Dream).
Embryo riporta invece il discorso su binari più sperimentali, una
danza indiavolata che viene stoppata dall’evocativa Heavenly Bodies,
che fa da introduzione ad una Only Money
che pare uno dei piccoli pensieri a ruota libera di Leonard Cohen, e presenta
un arrangiamento decisamente accattivante, in cui confluiscono un po’
tutti i sapori della sua musica. Holy Ghost
è forse il brano centrale come testo (da qui arriva anche il titolo del
disco), con una visione che parte alquanto negativa (“lo spettacolo non
può andare avanti, il Sole ululò alla Luna, un nuovo giorno non verrà”).
Il breve spoken United riflette invece sulla possibilità di trovare
un modo comune ad uscire dalla tragedia, citando il noto motto “United
we stand, Divided we fall” che fu ripreso anche da Winston Chuchill, una
piccola introduzione alla più minacciosa Expendable (”ehi fratelli,
siamo tutti sacrificabili? Non c'è nessun paradiso non c'è nessun inferno,
tutto quello che abbiamo è qui e ora, gente”), brano che si congiunge
alla perfezione agli ultimi due per atmosfera e ritmo (The Rapture
e Where Does It End).
Il secondo cd Star Death è invece una sorta di fotografia sul work
in progress dei brani (ma con qualche titolo diverso), con pieno spazio
alle velleità da kraut-rock del duo Michelangelo Russo e Nico Mansy. “In
modo silenzioso combatto le mie piccole guerre, in cento modi muoio un
po 'di più” canta in Everyday Hugo Race, autore di un disco solo
apparentemente soffocante, ma intriso di una fiducia che si fa spesso
semplice ricerca di una via di uscita e di una speranza.