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jangle pop revue di
Fabio Cerbone (21/06/2018)
Costruito sulle promesse dell'acclamato ep The French Press, vero e proprio esordio
in casa Sub Pop lo scorso 2017, e con due singoli a trainare la curiosità intorno
alla giovane band australiana in questi mesi, Talking
Straight e Mainland, il nuovo album dei Rolling Blackouts
Coastal Fever fa centro pieno resuscitando suggestioni lontane di un guitar
pop arrembante, eppure melodico nella tessitura. È uno degli intrecci elettrici
più trascinanti della stagione il loro, un fronte di tre chitarre che gareggiano
con ritmiche dalla forma post punk e uno scintillare più armonioso, fin quasi
sottile, delle armonie. In questo gioco di contrasti si fonda buona parte del
fascino di un album come Hope Downs, breve e ficcante nella durata,
con una sequenza perfetta di pop chitarristici che portano il marchio della terra
oceanica e di una scena che non è mai sparita dalla vista degli appassionati.
Facile cadere nella trappola nostalgica, più semplice ancora stendere
l'elenco delle ascendenze, ma i Rolling Blackouts Coastal Fever non sono una imitazione
pronta all'uso, semmai un quintetto con abbastanza energia e innocenza in corpo
per edificare il sound che hanno in testa sulle ceneri dei loro cugini maggiori.
Certo, jangle pop e rock da grandi spazi nei primi singoli citati, il galoppo
frenetico e un po' velvettiano (passando magari per i Feelies?) in An
Air Conditioned Man e quella aggressività controllata e travolgente
in Time in Common, con il bagliore delle sei
corde che non smette un secondo di entrare in circolo. Tutto contribuisce all'amarcord
per il gruppo di ex liceali di Melbourne Fran Keaney, Tom Russo e Joe White, trio
di songwriter e voci in prima battuta, completati da Joe Russo al basso e Marcel
Tussie alla batteria.
Due fratelli, due cugini e un amico batterista,
ed è quest'ultimo che alla fine ha trascinato tutti nella sua remota casa nella
regione del New South Wales, una miniera sperduta nel mezzo dell'Australia a suggerire
il titolo, e uno studio mobile dove Hope Downs è stato inciso con il produttore
Liam Judson sfruttando l'idea di un isolamento che potesse dare la carica alla
band. Obiettivo raggiunto, canzoni immediate, bellicose sotto la pelle liscia
e melodica, come in Ballerine e nella nervosa
Exclusive Grave, un'agrodolce malinconia che si lascia cullare in Cappucino
City (e arrivano anche gli accostamenti nobili con i Go Betweens e,
perché no, i dimenticati Game Theory di Scott Miller), rinnovando con intelligenza
lo spirito del rock nazionale australiano in How Long? e The
Hammer. Sincera irruzione rock quella dei Rolling Blackouts Coastal
Fever in questo 2018.