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alternative rock 2.0 di
Yuri Susanna (14/07/2018)
E intanto i Parquet Courts continuano a non sbagliare un colpo, mannaggia
a loro. Quelli che li attendevano al varco col fucile spianato dopo la notizia
che la produzione del nuovo album sarebbe stata affidata alle mani à la page di
Danger Mouse, pronti a impallinare una presunta svolta "poppettara", sono serviti
già dal primo brano, Total Football (che il
quartetto di New York sia fan dell'Olanda di Cruyff?), dove troviamo la solita
libera mescola di ingredienti post-punk che si burla di qualsivoglia idea di mainstream.
Cambi di tempo, canto sghembo, trame sonore irregolari e nevrotiche, veemenza
esecutiva di matrice urbana: non manca nulla in queste 13 canzoni di ciò che ha
portato la band sugli scudi. C'è semmai qualcosa in più, che nei precedenti lavori
non era ancora stato sviluppato a dovere: da una parte una pulsione ritmica che
sconfina più volte nel funk, dall'altra un lavoro sulla forma della ballata power
pop volta a destrutturarla dall'interno, vedi il primo singolo Mardi
Gras Beads o la spiritosamente battezzata Freebird II che, a
dispetto del titolo, deve poco al southern rock e molto all'eredità dei Big Star.
Insomma, se la produzione di Danger Mouse ha giocato un ruolo nelle
dinamiche della band è stato nella direzione di un allargamento dei suoni, non
in quella di un loro annacquamento. Del resto la personalità dei Parquet Courts
è definita e solida, oltre che aperta alle sperimentazioni, come avevano già dimostrate
certe eccentriche collaborazioni, vedi quella di qualche mese fa con il compositore
nostrano Daniele Luppi, volta a celebrare la Milano degli anni '80 (recupero consigliato,
se vi fosse sfuggito). A proposito di Danger Mouse - sembra sia stato lui ad esprimere
il desiderio di lavorare con la band, non viceversa -, Andrew Savage, co-leader
dei Parquet Courts insieme all'altro cantante/chitarrista Austin Brown, ha dichiarato
che l'intento era quello di sfruttarlo per realizzare un disco di punk da ballare:
niente paura, ascoltando il risultato è chiaro che più che i dancefloor, i nostri
aveva in mente la "modern dance" inaugurata 40 anni fa dai Pere Ubu...
Nel
complesso non si può non registrare una sempre più strabiliante bravura nel dominare
gli elementi di scrittura che fanno di questa band un continuo gioco di rimandi
tra la grande stagione underground di fine Settanta e il rigurgito alternativo
dei Novanta, tale da rendere queste canzoni riconoscibili nei loro ingredienti
ma non derivative: i Parquet Courts rimescolano in modo originale le loro influenze,
mai nascoste, trovando nuove collocazioni possibili al funk terzomondista dei
Talking Heads (Wide Awake! e l'irresistibile
Tenderness), al rockabilly industriale dei
Fall (Extinction), al pop destrutturato dei Pavement (Before the Water
Gets Too High), persino alla new wave degli Ultravox (Back to Earth).
Anche se, probabilmente, per sentire il loro cuore a nudo bisogna rivolgersi all'assalto
punk di Almost Start a Fight/In and Out
of Patience.
Siamo pronti a scommettere che, quando guarderemo dalla
giusta distanza questi liquidi anni Dieci, i Parquet Courts ci sembreranno tra
le poche band degne di piantare la loro bandiera sulle macerie di quello che un
tempo chiamavamo rock &roll.