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folk pop di
Marco Restelli (06/10/2017)
Nella lunga estate, ormai alle spalle, devo ammettere che una delle voci che mi
ha accompagnato con costanza regolare e che ho apprezzato maggiormente è stata
la cantautrice Jillette Johnson. Pianista, cresciuta a New York ma ormai
da tempo cittadina di Nashville, per il suo secondo disco ha scelto di non seguire
la via apparentemente più logica del country folk - di cui la sua nuova città
è ormai il simbolo - prendendo una direzione artistica che sta a metà strada fra
il folk e il pop. Questo le ha certamente permesso di evidenziare sia le doti
di musicista, sia quelle di cantante, che l'ottimo produttore Dave Cobb
(che ha già lavorato con Jason Isbell e Chris Stapleton) ha saputo valorizzare
in modo impeccabile, dando al tutto un lieve tocco vintage che non stona affatto.
Da questa collaborazione ne è uscito All I Ever See In You Is Me,
un vero e proprio gioiellino composto da dieci gemme, una più bella dell'altra,
nella quale la Johnson ha potuto raccontare sé stessa in testi a volte anche molto
forti, mantenendo sempre musicalmente il proprio strumento al centro del sound.
Non stupisce, quindi, che l'album si apra con Bonny,
ballata piano e voce solo apparentemente semplice ma di rara bellezza, connotata
da un'atmosfera carica di un forte sentimento di rivalsa e acredine verso una
persona tutt'altro che stimabile. I versi, mano a mano che il pezzo cresce d'intensità,
diventano sassi scagliati come proiettili (When the world is over and the robot
army comes filing down the mountain with their supersonic guns - I'll be free
- You can have my body but you can't have me). I treni della vita, che in amore
passano e purtroppo a volte non è più possibile prendere, sono al centro della
successiva Love Is Blind, dalla produzione
più ricca della precedente, ma con un mood piuttosto simile.
Flip
The Coin - il singolo apripista - è forse l'episodio più bello dell'album,
scritto all'indomani della strage di San Bernardino nel 2015. Il contrasto di
sentimenti di chi in qualche modo è contemporaneo di simili tragedie emerge in
modo inevitabile e l'ascoltatore è come se si trovasse di fronte ad un fiume in
piena di emozioni ("Flip a Coin and don't give a shit where it lands - It's fun
to play god, it's fun to play the devil But it ain't your job"). Senza parole.
L'eco delle grandissime Carole King e Joni Mitchell illumina la sognante Not
Tonight (una chitarra acustica accompagna con discrezione i suadenti tasti
di Jillette), mentre l'elegante Like You Raised Me si lascia apprezzare
per la sua melodia d'altri tempi. Anche il finale è esteticamente all'altezza
con Thumbelina, il cui testo resta pungente
come molti dei brani che la precedono. Con toni più pacati, l'artista si scaglia
contro un uomo che sembra usarla solo per la sua immagine e, in qualche modo,
tale accusa finisce per avere una valenza più generale nei confronti di tutti
coloro che considerano la donna più come un oggetto da mostrare che una persona
da amare e rispettare.
Non posso aggiungere molto a quanto di buono già
detto sino ad ora, se non augurarmi che quest'artista resti in futuro così com'è
oggi: spontanea e intrigante, da fare invidia a molte sue colleghe d'oltre oceano.