Wovenhand
Star Treatment
[
Glitterhouse
2016]

www.wovenhandband.com

File Under: dark americana wave

di Fabio Cerbone (09/11/2016)

Più di frequente ricordato per l'opera meritoria dei Sixteen Horsepower, band che aprì la strada del "gotico" all'interno di tutto il movimento alternative country degli anni Novanta, David Eugene Edwards è da tempo una cosa sola con la creatura Wovenhand, in fondo progetto artisticamente assai più longevo del suo predecessore. Una decina infatti gli album regolarmente pubblicati e quindici le stagioni di militanza di un gruppo che è sempre stato una proiezione della sua scrittura musicale fervente, illuminata da visioni e religiosità esibita, da un suono plumbeo e declamatorio che unisce tradizione folk e densità rock.

A partire da The Laughing Stalk del 2012 la musica di Woven Hand si è fatta ancora più cupa e magmatica, ma soprattutto è aumentata la carica elettrica debordante di canzoni che poco hanno a che fare con la matrice più acustica degli esordi. Lo si era notato chiaramente anche assistendo alle esibizioni dal vivo, una scarica di pioggia dark a cui mi capitò di presenziare nell'ultimo passaggio del tour italiano: Edwards, circondato da un quartetto di musicisti di impronta ai limiti dell'heavy rock, tuonava dal palco con la proverbiale impostazione da predicatore millenario. Star Treatment, nonostante il riferimento alle stelle e alla loro influenza filosofica, quasi metafisica, dovremmo dire, sull'uomo, come ribadisce Wovenhand nella presentazione, è fatto più di ombre che di luci, un passaggio per luoghi oscuri e invocazioni che si aprono sui clangori di Come Brave e The Hired Hand, attraversando le dilatate sonorità psichedeliche di Swaying Reed e i riverberi da new wave di Crystal Palace.

Non è un caso che ad accompagnare Edwards in questa trasfigurazione ci siano chitarra e basso di Chuck French e Neil Keener, entrambi con trascorsi punk hardcore nei Planes Mistaken for Stars, e si aggiunga poi la patina di sintetizzatori e tastiere di Matthew Smith, dai Crime & The City Solution. C'è un cuore post punk e un rock tenebroso che cova in Star Treatment, mentre la voce è sommersa in riverberi ed elettricità crescente. C'è anche una certa monocromia nelle musiche, che a lungo andare è diventata difficile da sostenere, e ciò rende una buona metà di Star Treatment un disco impenetrabile, una parete complicata da scalare. Non è mai stato semplice entrare in sintonia con l'immaginario di Edwards, con le sue preghiere che intrecciano sacro e leggenda, e persino simbologie western, ma oggi più che mai si cerca uno spiraglio.

In tal senso la seconda ideale facciata dell'album offre gli spunti più apprezzabili: la melodia arabeggiante di Crook and Flail, la lunga, meditativa All Your Waves, dove torna a galla il motivo gotico folk, forse il punto più emozianante di Star Treatment, o ancora una luce innalzante in Golden Blossom, ballata elettro-acustica in cui brilla una speranza. Sono però episodi immersi in una ambientazione generale che non fa sconti e chiede di abbracciare il furore di Wovenhand senza condizioni: a volte non è semplice assecondarlo.


    


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