Nap Eyes
Thought Rock Fish Scale
[
Paradise of Bachelors/ Goodfellas
2016]

www.paradiseofbachelors.com

File Under: discepoli velvettiani

di Fabio Cerbone (09/02/2016)

Mezz'ora e poco più di musica, otto canzoni che orgogliosamente sottolineano l'assenza di qualsiasi overdub o tentazione di abbellimento di studio. Tutto in presa diretta, su un quattro piste, e buona la prima: la filosofia dei canadesi Nap Eyes è presto detta e il senso del loro rock'n'roll scheletrico e sghembo risiede proprio nell'approccio minimalista, men che mai sciatto nella resa sonora, sia detto. I territori sono quelli di una canzone rock d'autore che per forza di cose si ricollega alle strade perdute newyorkesi, al canto di Lou Reed (le cui somiglianze timbriche sono a tratti inverosmili per Nigel Champman, leader e autore unico dei testi) e alla lezione dei Velvet meno striduli, o se volete alla successiva onda che regalò il culto di gente come i Modern Lovers.

Sono confronti nati spontaneamente fin dagli esordi di questo quartetto della Nova Scotia, formato da alcuni transfughi dai progetti indie rock Monomyth e Each Other, poi trovatisi ad incidere una serie di ep e l'esordio ufficiale nel 2014, Whine of the Mystic, album che ha attirato le attenzioni della benemerita Paradise of Bachelors. Il sigillo di garanzia dell'etichetta è apposto anche su Thought Rock Fish Scale, un piccolo disco di ballate trasognate e rock aguzzi dove contano l'intreccio fra talkin' e chitarre, liriche su amicizia e fede, ricordi e mortalità, dallo spiccato senso letterario. Con un stile ritmico asciutto, che a tratti ricorda alcuni passaggi dei Silver Jews di David Berman, i Nap Eyes evocano la desolazione e la bellezza dei paesaggi della Nova Scotia, il litorale deserto fotografato nel retro di copertina, adagiandosi sulle carezze rock da cameretta di Mixer e cercando quel beat rinsecchito e minimale che in Stargazer è figlio legittimo del citato Lou Reed.

Il fascino pigro di Thought Rock Fish Scale è tutto qui e non richiede effetti speciali: la voce è in primo piano, senza ritocchi, basso e batteria sono scarne, le chitarre ricamano con pennellate serene. C'è anche un buon senso della melodia nascosto nell'arte un poco naif dei Nap Eyes, lo si scopre nella confessione di Lion in Chains, uno dei momenti più incantati della raccolta. L'idea invece di rock'n'roll che la band propugna è quella di Click Clack e Roll It, da qualche parte sulla linea fra Modern Lovers e Feelies, e della cruda conclusione di Trust, un andamento dall'inconfondibile sapore velvettiano che sarebbe piaciuto a mr. Reed, tutto ridotto all'osso, emozioni in primo piano, piccole decelerazioni, che si alternano al ciondolare imbambolato di Alaska Shake, la chitarra di Brad Loughead a tratteggiare linee elementari. Elementare è anche la musica dei Nap Eyes, eppure mai trasandata: non si faccia l'errore di scambiare la loro estetica per mancanza di qualità. "Less is more" quindi, e nonostante ci siano già passati in molti la formula funziona sempre.


    


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