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new day rising di
Gianfranco Callieri (04/07/2014)
Nel
giro di due anni soltanto, Bob Mould, all'epoca appena uscito dagli Hüsker
Dü, scrisse entrambi i suoi capolavori solisti (imparagonabili a quelli sfornati
a ripetizione dal vecchio gruppo, ma questa è un'altra storia), Workbook (1989),
da poco celebrato con una lussuosa edizione "del venticinquennale", e Black Sheets
Of Rain (1990). Tanto il primo era raccolto, autunnale, molto acustico, quasi
folk in diversi frangenti, tanto il secondo suonava furioso, nevrotico, selvaggio,
arrabbiato; due estremi - la quiete folk-pop, tra REM e Richard Thompson, da un
lato, e i sanguinosi assalti elettrici dall'altro - entro i quali il Mould titolare
ha poi sempre continuato a muoversi (con l'unica eccezione dell'elettronico, disastroso
Modulate [2002]), a volte frullandoli e a volte lasciandoli separati, ma senza
mai rinunciare a una tensione sotterranea, a un fraseggio caustico, erosivo e
velenoso capace di far sembrare acido e stizzito anche il più innocuo dei dolcetti
power-pop. In questo senso, già i più che discreti Life
And Times (2009) e Silver
Age (2012) apparivano contraddistinti dall'ambizione a intrecciare,
forse confondere e di certo riassumere tutt'e due le facce dell'artista.
Tale
aspirazione, tuttavia, trova oggi, nel nuovo Beauty & Ruin, "bellezza
e rovina", efficacia e compiutezza inedite, perché ora come ora, diventato il
suono di Mould, con le sue ballate marziali e i suoi r'n'r martellanti, un canone
autonomo, la sua musica è libera di prevalere sopra se stessa, di sovrapporre
attualità e ricordi (come accade nella foto di copertina) senza soluzione di continuità,
di (auto)citarsi senza risultare stucchevole e spiccando, anzi, per autonomia
espressiva e riconoscibilità del tocco. Perciò sì, The
War non è altro se non il classico recipiente di caramelle byrdsiane
assediato da metri e metri di filo spinato, Tomorrow
Morning la tipica fucilata hardcore crocifissa da una brutale distorsione
di chitarra, Kid With Crooked Face l'immancabile (e devastante) strizzatina
d'occhio al punk supersonico dei primi Hüskers, tutte recitate, però, con la sicurezza
e l'audacia di chi, possedendo uno stile personalissimo, può permettersi persino
di prendersi in giro (dichiarando, all'inizio della conclusiva Fix
It, "sono privo di ispirazione") e di ignorare tutto quello che gli
sta intorno.
Accompagnato dall'inesorabile sezione ritmica di Jason Narducy
e Jon Wurster (ex-batterista dei Superchunk), Mould riscrive la propria storia
condensando in pochi minuti il capitolo Sugar (il cazzotto pop'n'roll di I
Don't Know You Anymore), bruciando in un riff travolgente l'eredità
degli Hüsker Dü (Little Glass Pill), ridefinendo il proprio debito con
la tradizione folk-rock in certi arrangiamenti costruiti sulla predominanza delle
chitarre acustiche (Let The Beauty Be, Forgiveness).
Ci sono diversi modi, per lo più abbastanza cinici, di irridere la storia, la
morte, lo scorrere del tempo. Bob Mould ha deciso di farlo accettandosi come essere
umano prima ancora che come musicista, e anche se nel procedimento ha perso per
strada la rabbia e la tensione di cui si diceva, la sua identità di musicista
è rimasta intatta, al punto da consegnarcelo di nuovo come un autore inconfondibile.
Di più, unico.