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americana,
southern rock di
Fabio Cerbone (16/03/2012)
Gli
US Rails hanno preso le giuste misure e dopo l'approccio dell'omonimo esordio,
trovano in Southern Canon un disco più risoluto che riflette il
vero valore del collettivo. La parola più adatta è proprio quest'ultima, perché
di continuare a chiamarli, con una certa dose di ironia sia chiaro, "supergruppo"
è davvero troppo provocatorio: nessuno dei cinque protagonisti ha una carriera
tale da ritenersi un fuoriclasse, e ad essere sinceri anche nel più ristretto
universo del rock delle radici sembrano destinati alle posizioni di rincalzo,
persi da qualche parte nella fila. Insieme invece Ben Arnold, Tom Gillam,
Joseph Parsons, Scott Bricklin e Matt Muir hanno davvero
qualcosa da offrire, seppure perfettamente inseriti in quel "canone" che richiamano
fin dal titolo. Personalità ne emerge da ogni solco, ma nonostante siano facilmente
individuabili i singoli contributi e i diversi stili di songwriting, gli US Rails
oggi assomigliano decisamente ad una rock'n'roll band con una sola anima e un
solo vocabolario. Un netto passo in avanti rispetto al debutto e una buona notizia
per chi va cercando un onesto roots rock di periferia che sappia ancora parlare
attraverso chitarre, melodia e mestiere.
Assemblato fra Germania e Francia,
Texas e Pennsylvania, scambiandosi idee e suggerimenti, Southern Canon riesce
nell'operazione di non suonare raccogliticcio, come fossero tanti piccoli pezzi
di un puzzle un po' indecifrabile: Heart Don't Lie
e il suo cuore gospel elettrico o il southern soul che soffia su Ring
a Big Bell sono infatti la riprova di questa coesione. Nulla per cui
strapparsi le vesti, evidentemente, ma un buon viatico per offrire american music
di qualità e fragranze seventies imbandite con gli schemi della tradizione. È
probabile che resteranno ancora confinati in quel mondo Americana dall'apprezzamento
più europeo che nazionale (d'altronde Joseph Parsons vive in Germania, mentre
Bricklin registra a Parigi), ma Southern Canon possiede in ogni caso il sapore
di quelle uscite degne degli autentici losers di casa Blue Rose, cinquanta minuti
di ballate, storytelling elettro-acustico e rock confederato che non mentono sulla
loro onestà di fondo.
Se i risultati poi sono a tratti anche avvincenti
tanto di guadagnato: Live Like We Love e Same
Old You (Same Old Me) ripropongono il Tom Gillam più sudista (ed è
lui a curare buona parte della parti soliste alla sei corde); Do
What You Love esalta il versante soulful della band attraverso le ruvide
corde vocali di Ben Arnold, il quale in You're My Home
si fa aiutare da tutti i compagni in un impasto che ricorda il roots rock spedito
e melodico di The Band of Heathens (un buon punto di riferimento); Nightbird
e Take a Long Time assolvono al compito di
rendere romantica e bluastra la musica degli Us Rails, grazie alla penna e all'interpretazione
di Parsons, il balladeer del gruppo, se volessimo sintetizzare. Anche il batterista
Matt Muir contribuisce alla causa, benché con uno dei brani più evanescenti della
raccolta (Don't Take Me Know), segno comunque
di una voglia di condividere più marcata (tutti i brani sono stati appositamente
pensati per il progetto Southern Canon, a differenza del passato) che si suggella
nel finale dolciastro guancia a guancia di Ol Song on
the Radio, da qualche parte fra la ben nota Easy dei Commodores e un
bigino degli Eagles.