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West
Coast memories di
Yuri Susanna (24/09/2013)
Treetop Flyer è la canzone che chiude Stills Alone, discreto disco di metà
carriera di Stephen Stills (uscì nel 1991, l'anno cioè di Nevermind, Screamadelica
e Blue Lines: diciamo che se vi è sfuggito siete ampiamente giustificati...).
E' il racconto di un pilota reduce dal Vietnam che si dà al contrabbando (armi?
droga?) verso l'America. Un brano che riscuote una certa fortuna tra le giovani
generazioni del folk-rock. Ray Lamontagne dichiarò in un'intervista che fu l'ascolto
di quella canzone a spingerlo al songwriting. E ora questo quintetto londinese
la sceglie per battezzare le proprie gesta. Non senza motivo: di Stephen Stills
i Treetop Flyers danno l'idea di averne ascoltato a carrettate - da solo,
con Crosby, Nash e Young, con i Manassas... E poi America, Eagles, Doobie Brothers.
Una collezione di dischi tutta yankee, la loro, che presumibilmente si interrompe
prima del 1977 e riprende negli anni '90, in piena stagione alt.country. Per trovare
qualcosa di british nel loro sound certa stampa non ha trovato di meglio che evidenziare
la somiglianza tra la voce del cantante Reid Morrison e quella di Mick Hucknall
dei Simply Red (!). A parte che a
noi il suo timbro ricorda più quello di Dan Peek degli America, conviene mettersi
l'anima in pace: il cuore di questi cockney batte dall'altra parte dell'Atlantico.
Un'americofilia che li ha condotti negli studi Zuma Sound di Malibu, dove The
Mountain Moves è stato registrato con Noah Georgeson (Devendra Banhart,
Joanna Newsom). Un ep era già uscito nel 2011 per l'etichetta dei Mumford & Sons,
dopo che la band aveva vinto il contest per gruppi emergenti al Festival di Glastonbury.
Ci sono voluti altri due anni per dare alle stampe l'esordio su lunga distanza,
due anni in cui la scena folk/pop, inglese e no, ha visto moltiplicare esponenzialmente
la propria visibilità. E' probabile che The Mountain Moves avrebbe avuto minor
copertura stampa se fosse uscito in un altro periodo, ma è anche vero che cavalcare
l'onda lunga del successo dei vari Mumford, Lumineers e compagnia rischia di mistificare
la proposta del quintetto. I Treetop Flyers rientrano piuttosto nel novero di
quegli archeologi intenti a disseppellire suoni e chincaglierie della California
post-hippy dei primi anni '70, versante Laurel Canyon.
Di questa scena
incarnano l'anima meno incline alle divagazioni strumentali e alle jam psichedeliche
(per quelle c'è già Jonathan Wilson), preferendo invece le canzoni da tre-quattro
minuti dalla struttura standard. Chitarre elettriche e acustiche che ricamano
intorno alla melodia, chorus che volano alla ricerca dei grandi spazi sulle ali
di armonie westcoastiane (è il caso dell'opener Things
Will Change, ma anche di Waiting On You,
o di Picture Show), qualche assolo di chitarra ma senza strafare (poche
battute, quel che serve a guidare la canzone all'ultimo ritornello, vedi Rose
is in the Yard). Lo schema è più o meno questo, tranne nella più articolata
Haunted House, che sta proprio in mezzo al
disco e lascia libera la musica di trottare. Qualche ballata, come Making
Time, inclina al soul, e non ci dispiace. Non mancano naturalmente
le buone intuizioni melodiche (Postcards ha
il chorus più micidiale), così come un generale senso di trattenuta malinconia.
Quegli stessi ingredienti insomma che ci piaceva tanto (ri)scoprire nei dischi
dei Jayhawks, vent'anni fa o giù di lì.