File Under:Americana
songwriter di
Davide Albini (12/01/2013)
L'esperienza
conta sempre, soprattutto quando si maneggiano generi che hanno uno stile riconoscibile,
delle regole ormai ben codificate e dove cadere nel semplice stereotipo è un rischio
quasi calcolato. Dico questo perché sono convinto che non ci sia una sola nota
in A Real Good Place to Start che non abbia qualcosa di familiare,
che non richiami cento, mille songwriter americani passati su queste pagine, con
il loro bagaglio di "radici". Ballate che assumono colori folk elettrici, che
richiamano la campagna country e il blues rurale, che possiedono persino un pizzico
di soul, sperdute da qualche parte là in mezzo, fra Austin, Memphis e Nashville.
La differenza in questi casi nasce proprio dalla storia personale e Jack Saunders
è uno di quei musicisti che ci piace chiamare "artigiani" della canzone americana,
con la sua lunga, oscura gavetta e le tante collaborazioni affastellate nel tempo.
Che non sia più un ragazzino lo si nota fin dalla copertina, in aiuto
arrivano poi gli accenni biografici: girovago che ha vissuto tra la California
e l'Alaska la sua gioventù, si è stabilito in Texas a partire dai primi anni 70,
dove ha respirato l'aria fertile della scena country locale, potremmo dire diviso
fra gli affetti adolescenziali per Bob Dylan e quelli maturi per Guy Clark. Chitarrista,
bassista, autore in proprio, dalla metà di quel decennio ha fatto parte attiva
della scena di Houston, collaborando con piccole leggende locali come Shake Russell,
formando con quest'ultimo anche un fortunato duo acustico. Negli anni Saunders
è divenuto egli stesso un punto di riferimento per le nuove generazioni, entrando
a far parte di diversi progetti e accompagnando in tour o in studio Ray Wylie
Hubbard, Greg Trooper, Randy Weeks e Hayes Carll, tutti nomi che sembrano indicarci
una linea precisa.
Anche A Real Good Place to Start, con meno mezzi e
meno pubbliicità, rientra in questa covata, perché ha tutti i numeri per convincere
gli estimatori di un suono roots d'autore, dove strumenti a corda assortiti, mandolini
e lap steel (il bravo Rick Poss e lo stesso Saunders) costruiscono amabili ballate
come la title track e Bowser Street, macchiandosi
di tanto in tanto con il blues e il Texas adottivo (Doors
of Amsterdam, lo spigliato honky tonk I've
Got a Thing For You). La voce di Saunders esce nitida, mentre il mood
molto cristallino, seppure casalingo, delle registrazione ricorda moltissimo il
collega Greg Trooper, un punto di riferimento senz'altro azzeccato per descrivere
le atmosfere di A Real Good Place to Start (l'incantevole Dream World,
ad esempio, o il finale con Make It This Far).
When You Come Around, la dolce Elegant Grace
con una National guitar a guidare la melodia e ancora la ripresa in chiave rock
di That's How I've Got to Memphis, classico
di Tom T hall rifatto anche da Solomon Burke, sono tutte canzoni che spesso sfiorano
il soul e lo ripassano nel lessico dell'Americana. Piccolo disco, musica che non
tradisce.