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dark folk di
Gianuario Rivelli (28/06/2012)
Molto
spesso capita di imbattersi in dischi di debutto in cui musicisti imberbi vogliono
spaccare il mondo caricando troppo le loro canzoni, come se per stare al mondo
servisse per forza essere appariscenti. Sarà perché come debuttante non è proprio
di primissimo pelo, ma Ed Romanoff il rischio di cui sopra non lo corre
affatto: la sua è una musica in cui si lavora di sottrazione, in cui orpelli e
barocchismi sono assolutamente banditi, dove la sostanza e solo quella ha diritto
di cittadinanza. In questo album d’esordio il suo folk austero e rigoroso- si
direbbe filologicamente ineccepibile- ha trovato il giusto veicolo nella produzione
in punta di fioretto di Crit Harmon, dando vita a undici canzoni dense di suggestioni,
oscure, quasi indolenti ma sempre estremamente vive. Lo avrete capito: siamo in
quel territorio dal clima cupo, ma non tetro, dalle luci non abbaglianti ma sommesse,
dove la desolazione e le tinte noir finiscono con uno strano cortocircuito per
generare serenità in chi ascolta.
Tanto per fare un nome non casuale,
siamo dalle parti di una come Mary Gauthier, amica di Romanoff nonché coautrice
di un paio di brani e presente nelle background vocals al pari di altri due nomi
pesanti come Josh Ritter e Tift Merritt. Un calibrato uso della lap steel,
i saltelli composti del banjo, l’organo wurlitzer e la voce baritonale di Romanoff
sono i fattori principali dell’umore crepuscolare e nostalgico che permea il disco.
Non cercate singoli o brani killer: a fare la differenza in dischi come questo
sono le storie che vengono raccontate e che prendono forma nella mente dell’ ascoltatore.
Storie inquietanti come quella di Lady luck-
la canzone più affascinante del lotto- in cui si narra di un’inspiegabile scomparsa
di un uomo con uno stile alla Mark Lanegan (“around 4 o’clock or so, he went down
to the river and that’s all anybody knows”), storie dolorosamente autobiografiche
come St.Vincent de Paul in cui Romanoff racconta
della recente scoperta di non essere cresciuto con il padre biologico o la murder
ballad Two yellow roses (duetto con Tift Merritt)
in cui una coppia che si era appartata in macchina viene investita da alcuni colpi
di pistola esplosi da un folle.
L’amore non corrisposto è invece protagonista
di Breakfast for one on the 5th of July, brano
scritto a quattro mani con la Gauthier, mentre l’unica variazione di ritmo è in
Curveball, pezzo galoppante dal sapore western
in cui si esalta il drumming di Dave Matthacks. Non mancano poi riusciti scioglimenti
di tensione come la jazzata I must have done something
right e la dolce ninna nanna When you’re dreaming.
L’omaggio alla tradizione con la rilettura della classica elegia country I
fall to pieces chiude un disco di tutto rispetto che fa entrare Ed Romanoff
nella galleria dei nomi su cui poter far affidamento nell’ambito "late night
americana".