Angie Palmer
Old Sticks to Scare a Bird
[
Akrasia Records
2012]

www.angiepalmer.com


File Under: english americana

di Fabio Cerbone (15/12/2012)

La definizione di English Americana potrebbe essere limitante, ma se ne comprendono le ragioni di sintesi e anche il percorso musicale che sottende a molte delle ballate di Angie Palmer. D'altronde il continuo flirtare di artisti britannici con le radici della canzone folk americana non è certo una novità e anche sul fronte della più marcata roots music, in questi anni la scena nazionale ha proposto diversi intrecci interessanti. Angie Palmer nasce come folksinger di strada, educata ad una vita un po' errabonda che l'ha portata sulle vie di mezza Europa: un piccolo furgone, una vita in alberghetti di quart'ordine, prima di esordire con l'album Road, frutto di una vittoria al National Busking Competition. Da qui in poi le attenzioni sono cresciute, arrivando anche alla programmazione della BBC e del leggendario Bob Harris, dj con il pallino per la canzone d'autore e soprattutto per il suono Ameircana in tutte le sue declinazioni.

Dalla piccola Lancaster, luogo di nascita, è stato insomma un viaggio intenso: Angie ha fatto tappa soprattutto a Parigi, luogo dove ha incontrato anche il compagno della sua vita, nonché attivo collaboratore nella stesura dei testi, Paul Mason. La formazione filosofica di quest'ultimo, professore alla Manchester Metropolitan University, ha reso più profonde le liriche dal taglio narrativo, che anche il qui presente Old Sticks to Scare a Bird tende a svelare. Sono una delle caratteristiche più solide di un album a doppia faccia, idealmente diviso (anche nel libretto del cd) in un lato A dalle timbriche country rock e bluesy e un lato B più riflessivo e acustico, in cui emergono l'educazione brit folk della Plamer, che cita John Martyn e Joni Mitchell fra le sue ispirazioni. Il pregio e il difetto maggiore dell'album è proprio in questa sua marcata divisione: allo storytelling dall'espressività sudista di The Balld of Jack Everyman, Raising Hurricanes e Poor Johnny, materiale che echeggia Lucinda Williams e tutte le chanteuse americane dalla stermanat provincia sudista, al country blues elettrico di Dirty Little Secret e alla spigliata andatura folk rock della brillante Little by Little si contrappone una seconda parte completamente votata all'introspezione, introdotta dalla tensione di The Song of Drowning sailors, che anche nelle immagini evocate sembra cambiare sponda dell'Atlantico.

Parte del problema non risiede tanto nella qualità dei brani e nel saldo timbro strumentale della band (con il fedele collaboratore Billy Buckley alle chitarre e lap steel e Richard Curran al mandolino, viola e violino), quanto nell'intenzione di tranciare così nettamente le due anime del suo songwriting. Una combinazione più studiata degli stili in ballo avrebbe giovato in sé alla fruizione di Old Sticks to Scare a Bird (frase rubata ad una poesia di Yeats...) che così rischia invece di far passare sotto gamba le due puntate di Haunted by a Stranger (due ballad una di seguito all'altra, raccontate dai punti di vista di un lui e di una lei) e le raffinate orchestrazioni della conclusiva Fresco.



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