Johan Örjansson
Melancholic Melodies For Broken Times
[
Rootsy
2012]

www.johanörjansson.se
www.rootsy.nu


File Under: These winding roads

di Gianfranco Callieri (05/12/2012)

Una vera sorpresa, questo quarto album dello svedese Johan Örjansson, piccola celebrità (si fa per dire) nella cittadina natale di Falkenberg, emerito sconosciuto per il resto del mondo. Ma è bello che costui - il mondo - possa ancora stupirsi di fronte a dischi tanto inaspettati quanto riusciti, tanto intensi ed efficaci com'è Melancholic Melodies For Broken Times, lavoro più realista del re quando si tratta di battere, con invidiabile sicurezza, i percorsi della canzone d'autore in chiave rock, dell'alt.country radicato nell'inevitabile isolamento di tante vite ai margini, del suono amaro e pungente di una ballata folk recitata in punta di plettri. Immaginate di trovarvi di fronte a un disco del Ryan Adams più autunnale e rockista, in senso classico, o alle prese con un album inedito di Cory Chisel: nelle canzoni di Örjansson, non a caso supportato dalla voce di Israel Nash Gripka nel fragile tratteggio country-folk di una If I Were To Love You ispirata ai Jayhawks dei giorni di pioggia, si respira lo stesso gusto elegiaco, countreggiante con misura, introspettivo e al tempo stesso ruggente delle prove più riuscite degli artisti citati.

Chiaramente Örjansson è un tizio cresciuto nel culto degli album di Jackson Browne e Tom Petty, quindi coltivando un'idea del suono americano in egual misura basata sulla dolcezza californiana degli intrecci tra organi e chitarre e su di un formato r'n'r dalle spiccate qualità pop. Il rock-soul struggente di Down The Avenue (in pratica una rivisitazione, strepitosa, della When The Stars Go Blue di Adams), l'ordito di chitarre acustiche, pianoforte e slide di These Winding Roads, il country-rock con armonica di Honey Pie e quello a tempo di valzer di Bottles And Birds, il power-pop scintillante di The Yellow Fields, l'oceano semiacustico di una Houses parente prossima dei Whiskeytown e la ballatona rock Papercuts, un gioiello alla Cardinals ultima maniera, ricordano tutte - è ovvio - il contegno di autori già sentiti e consumati a furia di frequentazioni. A rendere speciale Melancholic Melodies For Broken Times, nondimeno, ci pensano la performance di Örjansson, sempre convincente nel dispiegare la consapevolezza appassionata di un illimitato gioco di citazioni, la bontà indiscutibile delle composizioni (appartenenti a quella schiera di articoli destinati a crescere dentro la coscienza degli ascoltatori, lavorando soprattutto sulla distanza) e tutti quei particolari che, oltre a sottolineare la naturalezza esecutiva dei brani (al punto da credere più volte di trovarsi di fronte non a un autore eteroctono alle prime armi, ma a un consumato redattore del vocabolario Americana), ne rendono duraturo il pur immediato magnetismo.

L'intonazione incrinata della conclusiva Rather Be With You, in un meraviglioso closing time di spazzole e sospiri jazzati, il bridge irresistibile di una Baby's Blue Eyes sospesa tra rock e radici, le sei corde twangy di una Pointless Alleys dove honky-tonk e garbate carezze soul convivono felicemente. Spesso la voce di Örjansson ricorda quella di un David Gray della fase di mezzo, ed è una soddisfazione, in queste tracce dalla chiara dimensione bucolica, scoprire di tanto in tanto una persuasiva grana urbana, come se spazi aperti e lingue di cemento fossero le due facce di un'unica medaglia di solitudine e malinconia. L'unica cosa fuori posto, in questo disco, è il titolo: talmente esplicito e, neanche a dirlo, appropriato, da rendere meno emozionante (ma è questione di un attimo) la rivelazione di un autore di prima grandezza.


    


<Credits>