File Under:singer-songwriter,
folk rock di
Fabio Cerbone (24/07/2012)
A
tutti gli effetti il primo lavoro di questo songwriter canadese a godere di una
qualche rilevanza internazionale, Goodbye Cinderella sfrutta le
qualità di un parterre eccezionale di musicisti e i servigi degli studi di Nashville
per proiettare il nome di Joe Nolan fuori dal piccolo mondo folk della
patria di origine, con la complicità di un precursore come Colin Linden.
È infatti la sua regia (senza tralasciare le sue chitarre sparse in lungo e in
largo) in terra americana a fare da guida al giovane Nolan: da diversi anni animatore
della scena roots di Nashville, nonché apprezzato session man e produttore, Linden
mette al servizio di queste umide ballate elettro-acustiche tutta la saggezza
e le conoscenze accumulate, formando una squadra che comprende tra gli altri l'organo
della leggenda Spooner Oldham, il basso di Dave Roe e Chris Donahue, l'armonica
di Charlie McCoy, gente che da Johnny Cash a Emmylou Harris, passando per John
Mellencamp e Robert Plant si presenta all'appello con un palmares da far tremare
le gambe al pivello di turno.
Nolan, pur in tutta la grazia sussurrata
delle sue ballate, non è esattamente un peso piuma, piuttosto un rispettoso folkwsinger
che sfrutta l'occasione d'oro (due i dischi indipendenti che hanno preceduto Goodbye
Cinderella) per ottenere un suono prezioso e spesso dai connotati bluesy. Sconfiniamo
nei territori Americana più levigati, avvicinandoci a maestri quali Guy Clark
e Chris Smither, ma trovando anche una comunione di intenti con i più contemporanei
Jeffrey Foucault o Sam Baker. A metà strada insomma tra canzone d'autore e fragranze
rurali, Joe Nolan è un discreto talento da segnarsi sul taccuino, pronto ad imbarcarsi
in questi mesi nel primo tour europeo, forte anche di una nomination ai 'Canadian
Folk Music Awards' come nuovo artista emergente. Qui interessano poco i premi
e più le qualità intrinseche della sua musica: Goodbye Cinderella le esprime in
dieci episodi asciutti e contenuti nel minutaggio, che partono dal picking malinconico
di High as the Noon e approdano alle meditazioni
vagamente lisergiche di Bottom Shelf, protagonista
la sei corde di Linden e un'atmosfera un po' sinistra e sospesa.
Anche
la scrittura di Nolan mantiene in sé qualcosa di torturato e irrisolto, canzoni
d'amore e di indoddisfazione, che nella presunta "banalità" del tema del rapporto
di coppia esprimono invece tensioni sopite e le rivoltano cercando un sound rilassato
e decisamente laid back. Ad esempio nella bluesy, curvilinea Pray
Mama Pray e nella gemella Paranoia day 36
Blues, dove il raggio d'azione della slide di Colin Linden può far
sentire tutto il suo peso. Più spesso però Nolan predilige i chiaroscuri della
ballata folk, riuscendo nella sintesi nella dolcissima Hold
Me Up, nelle candeze soul di Where Do I Go From Here e in una
dylaniana Don't Take My Picture. Un interessante
promessa che ancora una volta la piccola label norvegese Rootsy si è accaparrata
per il mercato europeo.