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gumbo gospel rock di
Fabio Cerbone (23/05/2013)
"Fondamentalmente stiamo attingendo dalla tradizione del conflitto per lo spirito
che ha prodotto gente come Jerry Lee Lewis e Jimmy Swaggart": sono direttamente
le parole di Mark Meaux a sintetizzare l'anima di questo progetto, The
Mercy Brothers, nato nel tentativo di trovare un punto di incontro fra la
spiritualità densa del gospel e di tutta la tradizione sacrale sudista da una
parte e il secolare sound del country blues, del soul e dell'honky tonk dall'altra.
Il tutto condito da una dose massiccia di Lousiana nelle vene, sia chiaro, anche
perché da un gruppo che si è imposto al festival internazionale di Lafayette (dedicato
alle tradizioni creole e di lingua francese di quella regione) e che ha conquistato
il pubblico chiassoso del Chickie Wah Wah, uno dei club più chiacchierati della
"Big Easy", è impossibile non aspettarsi una ricetta speziata, fatta
dei linguaggi musicali di quella terra, da sempre sospesa fra paradiso e inferno.
Ecco dunque undici canzoni sulla fede e la devozione, l'amore e la disperazione,
con una girandola di Jesus e Devil infilati come invocazioni nei
testi: i Mercy Brothers però non cercano proseliti e conversioni improvvisate,
ci tengono a precisare che non fanno parte della congrega di cristiani rinati
e fondamentalisti rock, semmai sono espressione di una passione per la vita e
per la sua trascendenza che attinge dalla cultura più popolare, cercando la gioia
della condivisione e l'allegria di un roots sound tanto essenziale quanto coinvolgente,
a cominciare dalla stessa Holy Ghost Power! che
ricalca la melodia del traditional Higher Power, tramutandola nelle note e nel
groove tipicamente New Orleans della band, con tanto di kazoo e piano ad impazzare.
D'altronde la coppia di autori e voci formata da Mark Meaux e Kevin Sekhani, fondatori
dei Mercy Brothers con il pianista Garland Theriot, arrivano dall'esperienza dei
Bluerunners, interessante ibrido di rock'n'roll delle radici e musica cajun che
si fece notare con un paio di lavori negli anni novanta a cui partecipò la chitarra
di Sonny Landreth.
In quel crogiuolo di influenze va a pescare anche la
loro nuova creatura, dando però maggiore risalto all'eccitazione del southern
soul (adorabile The 309), alle pulsioni di
un blues da saloon (Rise, Devil, Rise) e spesso
forsennato (The Devil's Food Tastes Like Cake),
in cui la slide guitar prende il timone e ci trascina ai confini di una musica
sudista che abbiamo imparato ad apprezzare attraverso le ultime generazioni, le
stesse che hanno creato personaggi come i fratelli Dickinson dei North Mississippi
Allstars. The Mercy Brothers hanno tuttavia una sacrosanta tendenza ad esaltare
tonalità festaiole e gioviali, che sono poi la quintessenza della loro città:
forse non varieranno eccessivamente le soluzioni ritmiche (Keys
to the Kingdom, 10.000 Angels), ciò va ammesso quasi
come una sorta di premessa per comprendere a fondo la loro musicalità,
eppure sconfinano nel godereccio incedere country di Following
Jesus, sanno prendersi in giro (Come Home
Sinner) e al tempo stesso regalare emozioni sincere (Kite
Tails). Perfettamente dentro la tradizione senza per questo risultare
pedanti o accademici: onore alla norvegese rootsy che ha ripescato il disco dalle
uscite indipendenti della scorsa stagione.