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rock di
Fabio Cerbone (21/04/2012)
Rich
Hopkins non sta fermo un secondo, tanto più che la Blue Rose, sua fedele etichetta
da una quindicina d'anni, pare spalleggiarlo in ogni singola iniziativa, senza
badare troppo alle regole del music business (ne esistono ancora?). Sono passati
soltanto pochi mesi dalla pubblicazione di una doppia
testimonianza dal vivo (inclusa una versione in dvd) del tour europeo,
che il chitarrista e autore dell'Arizona rispolvera la sigla Luminarios,
una dozzina di membri onorari, tra cui il chitarrista aggiunto e pianista Joe
Sanchez, che nel corso degli anni sono stati la valvola di sfogo del nostro, alle
prese con un rock desertico e grondante di feedback. Buried Treasures
sospende in parte la collaborazione a quattro mani con la compagna Lisa Novak
(un paio di lavori in coppia che non hanno prodotto artisticamente i frutti sperati),
se è vero che quest'ultima firma quasi tutti gli episodi, mantenendosi però a
debita distanza e lasciando il canto nonché l'intera guida spirituale del progetto
al solo Hopkins.
Il quale, sia chiaro, si riprende tutto con gli interessi,
dando fuoco alle polveri con un sound livido e chitarristico che recupera certa
espressività tipica dei suoi album di inizio anni 2000 (da My Lucky Stars a Tinitus).
Siamo nella "serie b" più nobile del rock americano, quella di gente
come Chris Cacavas (Green on Red) o Russ Tolman (True West), eroi minori della
stagione post punk anni '80 folgorati sulla via dei Crazy Horse e del Neil Young
più livido. Il punto di riferimento è quasi ossessivo e lo è sempre stato anche
per Hopkins, che ricalca fedelmente le sue ballate elettriche sulle visioni di
Cortez the Killer e Like a Hurricane: si potrebbe iniziare dalla lunga cavalcata,
sette minuti abbondanti, di Friend of the Shooter,
testo narrativo con una base musicale che è la quintessenza del "cavallo pazzo".
Il muro di feedback e chitarre scorticate è simile, con la pazienza di sorreggere
la canzone mantenendo un cuore melodico. Da qui l'idea che il suono dei Luminarios
sia allo stesso tempo debitore di certa morbida psichedelia californiana, magari
passando attraverso i Byrds: un briciolo di queste infatuazioni finisce dritto
nelle trame di See How They Run e
Outta My Head (Outta My Mind), mentre A Stone
Throw e Beetcha Gotcha Now! vivono
di rendita su quel marchio di fabbrica che Rich Hopkins va difendendo fin dalla
lontana stagione con i Sand Rubies, prima rock'n'roll band da lui guidata sotto
le insegne di quello che allora chiamavamo Paisley Underground.
Non manca
mai infine quel forte legame con la terra messicana, proprio là oltre il confine,
oggi evocata nella storia di immigrazione e speranza di Alycia
Perez, cantata in spagnolo con la leggenda locale di Tucson, Salvador
Duran. È l'episodio più singolare di un disco che si chiude fra gli strumentali
Good Morning (ritornano a stridere le chitarre) e Sweet Dreams, Lisa
(dall'impianto acustico): come dire che l'ispirazione dei Luminarios poteva arrivare
fino ad un certo punto, poi occorreva riempire i vuoti. Nonostante tutto, Buried
Treasures rimane l'oggetto migliore tirato fuori dal cinlindro di Rich Hopkins
da parecchio tempo a questa parte: per i capolavori rivolgersi ad altri, qui si
fa il lavoro sporco.