File Under:Americana
with soul di
Davide Albini (28/05/2012)
Ma
che fine aveva fatto il buon Ron Lasalle? Ricordo distintamente l'annuncio
del suo nuovo lavoro oltre un paio di stagioni fa, durante un tour italiano al
seguito dell'apprezzato show benefico Light of Day. Con più di due anni
di ritardo rispetto alla tabella di marcia When Hellbounds Meet Angels
riesce finalmente a vedere la luce: la dipartita del caro amico e manager Mike
Sikkas è stata una delle ragioni principali di questo lungo stop, un "incidente
di percorso" che sfortunatamente ha lasciato nel limbo il rocker di origini newyorkesi,
dopo il promettente Nobody
Rides for Free, forse il suo album più completo, dove sbocciava tutto
il suo amore per la soul music e le radici blues bianche.
Rientrato in
carreggiata, grazie alla produzione del fidato chitarrista Brent Little e un piccolo
combo formato dal basso di Ron de la Vega, dalla batteria di Steve Emahifer e
dalle colorazioni di Dave Martin all'organo Hammond e pianoforte, Lasalle riparte
dalla sua voce roca, che spesso lo ha fatto accostare a John Hiatt e Bob Seger
in termini di stile, e da un rock'n'soul che mette insieme il suono vivace di
Memphis con l'Americana di oggi (That's What I Like (About
Loving You)), a questo giro dando più risalto alle sue ballate notturne,
un po' alla maniera del primo, imberbe Tom Waits. Un disco onesto, registrato
in presa diretta e senza troppe rifiniture, che rilegge l'età della maturazione
di Lasalle, facendo i conti con le sue relazioni tribolate, le confessioni di
un uomo vicino alla cinquantina (la bluesy The Devil
Sneaks In, immaginaria conversazione con il proprio barista) ma anche
le speranze e i desideri generati da un nuovo incontro (la stessa title track
o la speranzosa Doing Alright). La ruvida
vocalità di Lasalle non è prodigiosa, ma pur con tutti i limiti possiede assolutamente
quel feeling "blue collar" che rende rock'n'roll e ballate figlie della stessa
passione.
Sul primo versante Just to Remind You
è un brano che detta in parte l'atmosfera del disco, e che si legherà quindi allo
slow romantico Touch of the Blues, abbellito
dal flicorno di Jim Williamson (collaboratore storico di Delbert McClinton) e
nel finale alla trasparente melodia di I Couldn't Stay,
canzoni che indagano con sincerità la fine di un rapporto umano e d'amore. Dall'altra
parte della strada stazionano gli episodi più roots e spesso elettrici (il semplice
rock'n'roll fifties di Would It Be Me?), che
si basano comunque sulla forma ballata (Doing Alright)
evidenziando anche il linguaggio country rurale e sudista del musicista: Move
Along e The Haunted Kind, quest'ultima
con una bella slide guitar e un profumo che rimanda al John Hiatt del recente
Dirty Jeans… Meno consistente forse dei predecessori, When Hellbounds Meet Angels
soffre la macanza di qualche brano davvero menorabile (cosa che avvenne in passato,
ad esempio con l'appassionata, splendida I Am Love), ovviando al problema con
una certa omogeneità di atmosfere, garantita anche dall'interpretazione
generosa della stesso Lasalle.