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Americana, southern folksinger di
Fabio Cerbone (07/07/2012)
Partito
inizialmente fra i bayou della Lousiana con il progetto dei Dirty Cajuns (Tailgaten
Relief & Hurricane Companion l'esordio), Drew Landry aveva pubblicato
nella totale indifferenza, tipica delle produzioni roots, il qui presente Sharecropper's
Whine, album di difficile reperibilità e molto travagliato che la Blue
Rose ripesca dall'oblio dopo quattro lunghi anni di purgatorio, aggiungendo tre
brani inediti (non strettamente necessari, diciamolo pure). Scelta da losers come
si addice alla famosa label tedesca, ma meritoria perché restituisce un po' di
visibilità ad un songwriter dalle spalle larghe e dalla fondamenta oneste. Landry
è un ragazzo del profondo Sud che si arrabatta giorno per giorno, fa lavori umili
e alla sera imbraccia chitarra e armonica portando la sua musica tra la gente
della sua terra. Terra quest'ultima che rimane martoriata e devastata dalle politiche
nazionali, le stesse che sembrano fare eco in Sharecropper's Whine, un disco che
fa della ricerca di auteticità e dell'estremo realismo musicale il suo punto di
forza indiscutibile.
Niente trucchi dunque, la musica della Drew Landry
band, è un melting pot di umori sudisti in cui la vena cantautorale di Landry,
il suo canto pigro che pare incrociare il Texas di Townes Van Zandt con il roots
rock proletario del Midwest, si accompagna ad una serie di riflessioni amare,
disincantate, crude sulla vita degli "sporchi cajuns". L'orizzonte di Drew Landry
è la stessa landa demolita dall'uragano Katrina e svuotata dall'interno dalle
ombre della crisi, eppure orgogliosa delle sue radici: bastano una chitarra acustica,
una vocalità un po' trasandata e qualche slide di contorno per creare la giusta
ambientazione. Così infatti si palesano queste canzoni scarne eppure riuscitissime
nella loro linearità elettro-acustica: Sharecropper's Whine possiede il suono
ozioso e svogliato della migliore tradizione sudista (Oceans
Apart, Carry My Cross) unito alla
poesia arruffata e naif (l'incantata Over There)
di un songwriter che crede fermamente, parole sue sia chiaro, che la migliore
musica prodotta sia ancora quella di Woody Guthrie, Leadbelly e Jimmie Rogers.
E allora via alla scaletta con i contorni acustici e rootsy di Strength
Of A Song, immediatamente doppiata da una struggente title track che
vira all'alternative country e infila un violino hillbilly nel mezzo di un vero
e prioprio lamento. Juvenile Delinquent è
la prima ad alzare la testa, parte asciutta e folkie per approdare poi alle chitarre
elettriche; in tutto sono sette minuti di folk rock "straccione" che detta il
clima che si repirerà nel disco. Drew Landry si sceglie la compagnia giusta (ci
sono fra gli altri la steel di Richard Comeaux, il basso di Andrew Duplantis dai
Son Volt, l'accordion di Anthony Doopsie), cercando di tenere sempre basso il
profilo: anche quando suona strettamente rock'n'roll in Lap
Of Luxury (una slide che ricorda Sonny Landreth) infila mani e piedi
nel fango southern e country blues, dandone prova diretta nelle trame di Out
West, Take My Place, Conspiracy
Theory e nel lungo bluesaccio in minore di 90
Proof, uno degli apici della raccolta insieme a quella Last
Man Standing che sa molto di autobiografico e soffia un country desertico
da umile menestrello.