File Under:hardcore country,
honky tonk di
Davide Albini (17/07/2012)
Ha
fatto di tutto tranne il camionista, nonostante la copertina dia adito a qualche
sospetto. Sono pronto a giurare che prima o poi ci farà un pensierino. JP Harris
è stato però carpentiere, taglialegna, raccoglitore agricolo, quindi busker
e liutaio (costruisce banjo), lavori questi ultimi che hanno senz'altro più dimistichezza
con la sua attuale professione: quella di musicista a tempo pieno, girando mezza
America su treni merci, secondo leggenda. Nel segno dell'hardcore country più
verace, I'll Keep Calling è un album da segnarsi sul taccuino per
chi ancora cerca in questa musica l'autenticità perduta dei tempi d'oro e per
chi in questi anni ha apprezzato il lavoro di gente come Marty Stuart, il primo
Hank III o Wayne Hancock. Chiari i punti di riferimento di questo barbuto ragazzo
(ha solo 29 anni, ma canta con una perizia da consumato veterano), che vanno dalle
ballate strappacuori di George Jones all'honky tonk più classico, fino dal cosiddetto
suono di Bakerfield di maestri quali Buck Owens e Merle Haggard, sicuro di affondare
il colpo grazie ad una band di notevoli strumentisti.
La sezione ritmica
è formata dai Red Stick Ramblers (Eric Fey al basso e Glenn Fields dietro la batteria),
mentre fra i solisti si distinguono nettamente la pedal steel di Asa Brosius,
essenziale nel sound di Harris e le chitarre rigirosamente in stile twangy di
Chris Hartway. Registrato in Lousiana (Harris però è originario di Montgomery,
Alabama…vi dice niente il fatto che sia il luogo natale di Hank Williams?), raccogliendo
materiale totalmente originale, e questo è già un pregio nel genere, I'll Keep
Calling alterna momenti di euforia elettrica a ballate dal gusto più rurale, nel
segno di una american music bianca che non si rassegna a considerare la tradizione
di Nashville morta e sepolta (non a caso JP Harris si è trasferito in città da
qualche tempo). Si parte con l'honky tonk spigliato di Two
for the Road e Badly Bent e siamo
già proiettati nel mondo di Harris: dura vita sulla strada, avventure nel segno
della filosofia da hobo tanto cara a personaggi di questa pasta.
Take
it Back prende una deviazione per terrotori western swing mentre la
title track ritorna sui sentieri più familiari del maestro George Jones, omaggiato
soprattutto nella strepitosa ballad Just Your Memory.
Tra i momenti più scopiettanti dell'album Return to Sender,
in cui il binomio fra steel e chitarra fa scintille, replicato in Shake It,
dalle movenze più rockabilly e infine dall'honky tonk fragoroso di Gear
Jammin' Daddy, altra palestra per l'esplosivo suono del gruppo. JP
Harris resta però il vero collante: con una voce baritonale che è la quintessenza
di questa modo di intendere la country music, storie convincenti e il talento
per lasciare spazio a tutti i suoi comprimari. Chiusura da manuale con Take
It All, la preghiera di avere indietro il cuore dalla propria amata
con quella telefonata da una stazione di servizio sperduta chissà dove.