File Under:folk
rock, Americana di
Fabio Cerbone (22/11/2012)
Bisogna
avere una certa dose di incoscienza di questi tempi per presentarsi all'appuntamento
discografico con un album triplo, soprattutto quando sei un musicista danese,
per lo più sconosciuto se non nella stretta cerchia delle scena roots europea.
MC Hansen evidentemente non si è posto neppure il problema, dando libero
sfogo a questo progetto categoricamente nominato 3. Con tutti i
limiti di una simile proposta, i contenuti del generoso raccolto sono tutt'altro
che ordinari. Forse un po' presuntuosi, questo va ammesso, ma talmente sinceri
da ricacciare al mittente le accuse di una eccessiva fiducia in se stesso. Di
MC Hansen avevamo già dato notizie con Pariah, lavoro del 2010 che lo collocava
tra le molte proposte a tema Americana del Nord Europa, una scena matura, vivace
e spesso legata inseparabilmente con la tradizione di lingua inglese. Avendo poi
girato mezzo mondo, compresi naturalmente gli Stati Uniti, Hansen può vantare
un'educazione musicale di prima classe, che in 3 presenta le sue credenziali attraverso
una manciata di ballate dal caldo tempore folk rock, dall'acustico all'elettrico
mantenendo sempre quella eleganza propria di certi troubadour.
Tre facce
della stessa medaglia dunque, con brani che si ripetono ma in vesti differenti,
come se rappresentasero le diverse fasi di vita di una canzone: la prima parte
rappresenta per Mc Hansen l'infanzia, il guscio acustico ancora da formare; la
seconda l'adolescenza o giovinezza, con tutta la curiosità di sbocciare; la terza
la saggia maturità, con il desiderio di lasciarsi andare. Nel primo caso le tracce
sono state registrate a Dallas, Texas sotto la direzione di Rip Rowan e la partecipazione
ristretta del solo Milo Deering al dobro, pedal steel e fiddle. Anche la brava
Vanessa Peters, spesso di casa in Italia, collabora con qualche spunto
vocale. Il tutto si mantiene sui toni pacati della ballata folkie appena accennata.
Il secondo capitolo è quello più interessante e completo: la band è quella
di casa e le session sono catturate in Danimarca. Il suono limpido delle chitarre
di Uffe Steen riempie di calda elettricità i brani, che si ripetono in una diversa
sequenza rispetto al primo episodio (con qualche aggiunta come With Blood on
My Hands): Hope, They
Got That from Me, The Laws of Attraction,
The Devil's Right Hand (nulla a che vedere con Steve Earle, sia detto)
ricordano un po' lo stile Americana morbido di autiri quali Jeffery Foucault,
Mark Erelli e di altri giovani talenti del circuito rorts americano, esaltando
i chiaroscuri delle melodie ma restando nel recinto di un folk elettrico molto
educato. Un sound cristallino e dall'effetto live, che cerca anche di mantenere
il più possibile il calore della performance. Situazione che si ripete
nel conclusivo terzo atto, questa volta più "sperimentale": con Nikolaj Busk al
piano e accordion e Aske Jacoby alle chitarre, MC Hansen rivede sette episodi
(ritornano Where The Secrets Grow, Hope, Baby
Blue e si aggiunge l'inedita Come Friday)
con tonalità più eteree, che allargano le maglie delle canzoni. Materiale dal
buon peso specifico, anche se l'idea di qualche bella sforbiciata non me la leva
nessuno.