File Under:folk
rock di
Fabio Cerbone (13/10/2012)
Una
vita divisa a metà tra l'Irlanda del Nord e Nashville, dove ha aperto i concerti
di Vince gill, Buddy Miller e Tift Merritt tra i tanti, Ben Glover è una
"giovane promessa" da troppo tempo a questa parte (quattro i suoi lavori
a partire dal 2006): d'altronde ha scelto di operare in un campo affollato e soprattutto
ben aguerrito, tanto è vero che i primi paragoni, da Dylan fino all'immancabile
Ryan Adams, sono fioccati generosi e naturalmente trascinandosi appresso tutte
le insidie del caso. Se volessimo contribuire anche noi al gioco al massacro potremmo
aggiungere il nome del primo Josh Ritter, quello più vicino alla matrice folk,
ma non avremmo fatto un grande favore a Ben Glover, che in fondo possiede canzoni
e portamento per trovare la sua strada.
Forse non giochiamo ancora nella
prima divisione e non è lecito pensare che il songwriter irlandese ci arrivi mai,
ma in quella vasta terra di mezzo popolata da tanti interessanti artigiani della
canzone d'autore ci finiamo dritti con entrambe le gambe. Se infine un personaggio
come Mary Gauthier si è scomodata per firmare in coppia la delicata
Rampart Street, a chiusura di scaletta, qualche buon motivo ci deve
essere. Non è la sola ad essersi accorta di Glover, che porta a termine il suo
secondo lavoro "americano" con la collaborazione di Nelson Hubbard (autore e produttore
di rango, da Kim Richey a Matthew Ryan passando per decine di altri) e una buona
squadra di musicisti di area roots, tra cui si distinguono le chitarre di Kris
Donegan e il violoncello di David Henry. Quello che in partenza doveva essere
un ep in terra nashvilliana, ci racconta lo stesso Ben Glover, si è trasformato
presto in un album compiuto, seguendo la musa e l'istinto favorevole: il raccolto
si è ingrossato strada facendo e tra la delicatezza malinconica di Whatever
Happens Will e Memo oppure la sottile
patina pop di Uncomplicated si capisce bene
come Do We Burn The Boats? abiti quella landa fatta di morbidi saliscendi
dove il folk rock americano più tradizionale incontra il lirismo tipicamente irlandese
e le pulsioni di un moderno linguaggio Americana.
Senza mai alzare troppo
la voce (War to Believe (All This Time) la
più elettrica, Break Away quella con la stoffa
pop del singolo), Ben Glover dimostra il suo svezzamento tra Belfast, Londra,
Dublino e i palchi di culto della scena cantautorale americana, cominciando dal
leggendario Bluebird Café della stessa Nashville. È su quelle assi che si è fatto
notare e ha preso le misure, imparando presto a giostrare melodie semplici e accattivanti,
tra un ukulele che trasporta A Thousand Suns sulle frequenze di Paul Simon
e la compostezza elettro-acustica di And Only You and
I e No Means Yes, che troverà una sponda fra chi ha apprezzato il Ryan
Adams (inevitabile, mi arrendo, ancora e sempre lui) più intimista di Ashes to
Ashes.
NB: Ben Glover accompagnerà Mary Gauthier nell'imminente
tour acustico in Italia. Controllate le date nella nostra pagina dei Live