John Fullbright
From the Ground Up
[
Blue Dirt
2012]

www.johnfullbrightmusic.com


File Under: Americana folksinger

di Fabio Cerbone (21/05/2012)

In principio fu Okemah, Oklahoma, un segno del destino: un po' come nascere a Tupelo, Mississippi o a Duluth, Minnesota, luoghi che sono soprattutto misteriosi crocevia nella storia musicale americana, fedeli alla mitologia del grande nulla da cui esplodono all'improvviso le stelle polari del songwriting. John Fullbright dunque nasce e cresce all'ombra di Woody Guthrie e ne porta i segni con orgoglio, facendo il suo esordio nel piccolo tempio locale Blue Door con un set acustico e un disco dal vivo che smuove, così si racconta, le acque chete della discografia roots. Qualche viaggio lungo il Southwest, i festival più indovinati (compreso l'annuale Woodyfest, giusto per rinsaldare il legame di cui sopra) e l'idea che un giovane discepolo abbia preso il testimone. Quanto ci sia di vero e quanto anche di abilmente costruito poco importa: che un briciolo di sangue da folksinger errante sia entrato nelle vene di Fullbright è fuori discussione, ma non è neppure il dato artistico più importante.

Contano le miglia perscorse, la buona versatilità di un autore che parte dalla desolazione tipica del troubadour (anche lui non manca di citare Townes Van Zandt tra i suoi mentori), passa attraverso il più brillante country blues, riparte verso il rock'n'roll e approda all'eleganza di una ballata per soli voce e pianoforte. Di lui ha scritto parole incoraggianti l'eroe di culto Jimmy Webb, come dire l'università del cantautorato, visto dalla parte di chi scrive le canzoni (tra lui e Chip Taylor hanno una lunga lista di successi per conto terzi): qualcosa di buono ci sarà davvero in John Fullbright, che oggi debutta sul serio con From The Ground Up, disco fatto in casa nel suo Oklahoma spendendo poche risorse esterne e mettendoci molto del suo talento. Co-produce il bassista Wes Sharon e ci finiscono dentro vecchie volpi del suono Americana, tra cui Andrew Hardin alle chitarre (vecchio pard di Tom Russell) e il bravo Fats Kaplin al violino e steel guitar.

L'astro però è Fullbright, che manipola chitarre, armonica, pianoforte (lo ha studiato sin da bambino nella casa dei genitori) e organo, passando dai toni accesi di un rocker di provincia (Daydreamer potrebbe arrivare dal primo Todd Snider, Moving ricorda il ruspante country elettrico del collega Hayes Carll, Gawd Above è un'apertura pepata sulle note di uno swamp country-rock sudista) a quelli raddolciti di un songwriter alla Randy Newman (tre gli episodi per sola voce e piano, I Only Pray at Night, la gemella Nowhere to be Found e la conclusiva Song for a Child). Ci sono ancora ampi margini di miglioramento e una certa grezza poesia che potrebbe essere smussata, ma è fuor di dubbio che l'immagnario a volte religioso e al contempo polemico (Satan and St. Paul), oppure il commento sociale (la zingara melodia di Fat Man per piano e violino) siano lo specchio di una scuola a cui Fullbright ha studiato con dedizione. Qualche intermezzo acustico appare un po' raccogliticcio, ma bastano i sei minuti della splendida Jericho (Dylan e The Band rientrano prepotentemente dalla finestra, per uno dei brani Americana del 2012) a mantenere la promessa. Diamogli tempo.


    


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