File Under:rockabilly,
roots music di
Fabio Cerbone (27/11/2012)
Non
si può certo affermare che Rosie Flores sia una musicista di rottura: la
"retroguardia" per lei ha una ragione d'essere nel coltivare uno stile
riconoscibile, un continuo tributo ai suoi amori giovanili, al primigenio rockabilly,
al country più riottoso, allo swing e alla soul music più verace e via di questo
passo. Ogni suo disco è un tuffo nel passato, è un revival in piena regola mediato
comunque da una pesonalità forte (sia come intereprete e cantante, sia come notevole
chitarrista…e quella Telecaster in copertina non mente affatto) ma mai proiettata
verso una sperimentazione, un cambio della guardia, una sorpresa che sia veramente
tale. D'altronde non sarebbe neppure giusto pretendere da questa navigata regina
di culto del neo-rockabilly americano una svolta dopo trent'anni e passa di onorata
gavetta: è la ragione d'essere di musicisti di tale pasta, e lei stessa ne ribadisce
i contorni definendosi oggi Working Girl's Guitar, instancabile
manovalanza del rock'n'roll.
La title track è nata dalla penna di Ritchie
Mintz, dopo che Rosie gli aveva venduto una delle tante chitarre vintage della
sua collezione: è nata spontaneamente dice il ragazzo, "l'ha scritta la chitarra
stessa, non io". Ne prendiamo atto, così come la biografia di Rosie Flores ne
riflette il significato più esplicito: lavoro duro, palchi di mezza America, undici
dischi per etichette indipendenti (dalla Hightone alla Bloodshot in anni recenti)
e una miriade di collaborazioni che vanno da Dave Alvin e Dwight Yoakam alle sue
eroine Janis Martin (qui omaggiata in Drugstore Rock
and Roll) e Wanda Jackson. Reclamare altro è quasi superfluo, comunque
alla luce di un lavoro con ogni probabilità più ispirato della media delle ultime
fatiche discografiche: mezz'ora e poco più, come si addice ai generi indagati
e alla tradizione, dove brani originali e cover di origine controllata mettono
insieme un perfetto bignami dell'american music. Ad accompagnarla nel percorso
persino la steel di Greg Leisz e un piccolo cameo del redivivo Bobby
Vee, piccola leggenda dei 50s, che si unisce a Rosie nella carezzevole Love
Must Have Passed Me By.
Gli episodi migliori arrivano tuttavia
dalle impennate di volume della stessa Working Girl's Guitar, travolgente
roots rock iniziale con affilata parte solista della Flores, e da una bluesy e
sinuosa Little But I'm Loud, mentre il resto
si adatta ai cambi di stile e alle accurate rivisitazioni che ci aspetteremmo
da lei: Surf Demon #5 promette esattamente
uno strumentale a tema, con molta perizia e pochi imprevisti, Too
Much rispolvera l'eterno rockabilly che fu nel repertorio del Re Elvis,
Yeah Yeah (per l'amico scomparso Duane Jarvis)
attenua i toni con una ballata country dalle fragranze pop sixties, mentre If
(I Could Be With You) tenta persino una risoluta fuga in ambito rhythm'n'blues,
rigorosamente anni cinquanta sia chiaro. Solo la versione swingata, acustica del
classica betalesiano While My Guitar Gently Weeps
(George Harrison) scuote un po' le fondamenta e regala un momento di autentica
fantasia, ma siamo già giunti alla fine ed è tempo di tornare in strada.