Ben Bedford
What We Lost
[
Bloodshot
2012]

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File Under: folksinger, Americana

di Marco Restelli (28/11/2012)

Devo essere sincero: in questo mese di autunno, dischi come quello di Ben Bedford li considero come una manna dal cielo. Grazie alla sua radicale scelta di campo, chiaramente legata alla più tradizionale musica country/ folk, intesa nel senso originale del termine - cioè con temi che parlano sia della campagna che della gente comune - What We Lost rappresenta una piacevole "life soundtrack stagionale" che ben accompagna l'ascoltatore in queste giornate piovose e dal mood un po' low. L'autore, originario dell'Illinois, è alla sua terza opera e coerentemente con la sua breve storia discografica propone un repertorio essenziale fatto prevalentemente di minimali ballate acustiche, con l'aggiunta qua e là di altri strumenti tipici del genere succitato, fra i quali spiccano il violino, l'organo e la immancabile steel guitar. Ma in fin dei conti, per Bedford, la pur godibile musica sembra più che altro una scusa per fare lo storyteller d'altri tempi ed è, quindi, alla cura dei testi che si è dedicato anima e cuore, ricordando molto, in questo, il Dylan dei primi dischi al quale, tra l'altro, non manca di confezionare un piccolo omaggio parlando di "boots of spanish leather", in una strofa nella lullaby finale, Guinevere is sleeping.

Venendo alle canzoni, considero indovinata la scelta della splendida title track come portabandiera dell'album, in quanto in grado di incarnarne pienamente sia lo spirito che l'umore, a dire il vero sin dallo stesso malinconico titolo. Il pezzo autobiografico parla del nonno che, prendendo spunto da una foto mezza scolorita del figlio (mostrata dall'autore nella copertina), vorrebbe in qualche modo recuperare i tempi passati (i'm going back to find something that i left behind…), quantomeno evocandone la memoria, risalente all'epoca della seconda guerra mondiale. Ma le sue storie sono tante ed eterogenee: nella più andante Vachel ci parla del poeta di Springfield (Illinois) Vachel Lindsay descrivendone la tumultuosa storia personale, mentre in Cahokia ci racconta della città della zona del Mississippi così come, ancora, in Fire in His Bones descrive la vita di Charlie Patton, padre putativo del Delta Blues.

Fra le mie personalissime preferite scelgo, innanzitutto, la nostalgica Fallen, storia di due omosessuali che si innamorano nel costruire insieme barche: il succo della canzone è che ciò che conta è solo l'amore, a prescindere dal sesso dei protagonisti (…just because it's another kind of love, doesn't mean that isn't so). In secondo luogo la mid-tempo Empty Sky, rilettura autobiografica della cacciata dal giardino dell'Eden di Adamo ed Eva col finale a sorpresa: i due non sono puniti ma trovano il Paradiso. Splendide le harmony vocals, nell'occasione, della corista Kari Bedford, la cui voce ricorda un po' la Margot Timmins dei Cowboy Junkies. Concludo nel consigliare vivamente What We Lost a chi apprezza lo stile musicale così come descritto nell'introduzione di questa breve recensione, interpretato in maniera onesta e rigorosa e a chi ama le storie di personaggi che cercano un senso in questa vita, nonostante i suoi dolori e le sue difficoltà. E con questo spero solo non fischino troppo le orecchie al Boss di The Ghost of Thom Joad.



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