File Under:roots
rock di
Davide Albini (08/05/2012)
Ci
risiamo: ecco un altro folksinger che "era solito essere un punk rocker". Sono
le note stesse della biografia di Scotty Alan a ricordarcelo, non dobbiamo
fare molti sforzi, anche se un ascolto distratto del suo Wreck and the Mess
trasforma questa diceria in un dato di fatto. Alla fine degli anni 80 Scotty fonda
The Muldoons, trio di osservanza punk che incide cinque album prima di sciogliersi
nella disattenzione generale. Passa qualche stagione in cui il nostro si esibisce
in duo, riducendo all'osso la sua musica al solo binomio chitarre e percussioni,
prima di ritrovarlo oggi nella veste di autore più maturo e attento alla tradizione.
Nel frattempo la sua vita ha abbracciato scelte radicali, legandosi sempre di
più al suo territorio di origine: in una piccola comunità rurale nel nord del
Michigan, vicino alle coste del Lago Superiore, Scotty vive circondato dalla natura
più selvaggia, alternando piccoli tour acustici con la sua passione per il legno
(una casa costruita interamente con le sue mani…non quella della copertina per
fortuna!), la caccia e la pesca del luogo, isolato dal resto del mondo.
Ha
trovato il tempo però per incidere Wreck and the Mess a Los Angeles, che geograficamente
(e non solo) è l'esatto opposto della solitudine e del freddo del Michigan. Con
la produzione di Bernie Larsen e Niko Bolas (famoso per la sua collaborazione
con Neil Young), Scotty Alan ha la fortuna sfacciata, che non tutti gli outsider
di questo mondo possono vantare, di incidere con musicisti di grande esperienza,
tra cui si distinguono David Lindley, Phil Parlapiano (John Prine band),
Ian MacLagan (Faces), Butch Norton (Eels) e persino lo storico collaboratore
di Warren Zevon, Jorge Calderon, che presta la sua voce in alcuni brani. Con queste
premesse la qualità degli arrangiamenti non si discute, nonostante vada ammesso
che la cifra stilitica di Alan non è proprio quella della bella scrittura: il
suo folk rock è robusto, si tinge spesso di colori irlandesi, anche per la presenza
importante del fiddle (nella mani di Lindley) in episodi quali Good-Bye,
Long Ways From Laughin' e la più acustica
Not Ready to Be, tanto da ricordare persino
un certo legame con i Pogues (So Loud).
L'altra
faccia della medaglia è rappresentata dalle radici stesse del musicista, un ragazzo
del Midwest che mischia il country rurale con il cosiddetto heartland rock, definizione
che abbiamo imparato ad amare sui dischi di James McMurtry o John Mellencamp.
Ci sono echi familiari in Says Lately e in
numerose ballate dal passo elettro-acustico (Was It Ever?, Sinkin'
In), anche se evidentemente la voce rauca e le "rozze" maniere di Scotty
Alan lo rendono più un rappresentante di quel rock rurale che ha fondamenta salde
nella scena alternative country di questi anni. E infatti le marcette roots di
Ain't Much, Do It
Alone (che svela anche la penna ironica del nostro quando canta: "the
next time I fall in love/ I'm gonna do it alone") e Someone to Fight sono
un po' figlie di Johnny Cash, svelando un sound tradizionale e nerboruto che è
la diretta filiazione dell'educazione punk di Alan.