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Samuel James Taylor
Wild Tales and Broken Hearts
[Samuel James Taylor 2022]

Sulla rete: samueljamestaylor.com

File Under: brit-americana


di Giovanni Andreolli (02/11/2022)

C’è la fotografia in bianco e nero di un bambino sulla copertina dell’album: uno sguardo serio, fisso in camera; una giacca a vento leggermente più grande di lui a coprirlo; è in mezzo a spighe piegate dal vento, ma, ciò nonostante, lo stesso più alte di lui. È l’unica copertina, tra i tanti dischi pubblicati (soprattutto Ep, l’ultimo nonché unico Lp, The Boy I Used to Be, risale al 2017), che non ritrae il Samuel James Taylor dell’oggi, ma il suo passato (se è lui il bambino, ammetto che è una supposizione) – breve inciso: anche sulla copertina della raccolta di Ep Tales From A Troubadour, se si vuole, c’è la sua figura disegnata e stilizzata, anche se si esce un poco dal canone (poi, a dire il vero, tutti, o quasi tutti, i solisti mettono sui propri lavori la propria faccia).

Infatti, il menestrello, o cantastorie, come lui stesso si definisce (troubadour, per l’appunto), sempre disposto a vagare e suonare, seguendo la sua antica natura, per quanto possibile nell’attuale modernità globalizzata, decise di interrompere le proprie peregrinazioni e vagabondaggi, prediligendo la clausura della campagna inglese, la sua terra natale; un ritorno al passato per recuperare sé stessi, o per unirlo con le nuove esperienze apprese in giro per il mondo, per completarsi, prima di riprendere il proprio viaggio. Il genere a cui si può inscrivere Wild Tales and Broken Hearts è l’Americana, malgrado le origini del nostro, tanto che, una volta finite di scrivere le canzoni, Samuel James Taylor ha registrato il disco a Nashville, ai Skinny Elephant Studios, con la produzione di Neilson Hubbard.

“Dreams can last forever, just don’t tear them apart, keep singing”: queste sono alcune delle parole di Wild Tales and Broken Hearts, la prima canzone della scaletta dell’album; è una sorta di professione di fede, che il cantautore ha coerentemente seguito nel corso della sua lunga carriera non solo solistica, visto che in passato fu anche voce del gruppo Dead Like Harry, dei quali il primo lavoro lungo, Red Dress, risale al 2006: un sogno inseguito, e realizzato, per più di quindici anni, senza mai smettere di cantare. E il risultato, Wild Tales and Broken Hearts, del prolungamento di questo sogno è ambiguo: alcuni brani, Exquisite Pain e Virginia Girl, per esempio, sono molto buoni grazie all’ottima armonia trovata tra i singoli strumenti; ma, dall’altra parte, si trovano canzoni troppo dolci, nelle parole e nei suoni, che sanno di appiccicaticcio e banalità, come Rage and Fight, Map of Love – il problema non è il contenuto in sé, l’amore, ma il come si tratta un determinato contenuto. Il mio giudizio è una sufficienza: è un album che vive e vivrà nel vasto purgatorio dei dischi Americana né cattivi, né buoni, né memorabili, né dimenticabili.


    


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