Un viaggio nel nord-ovest americano, sulla costa
del Pacifico dello stato di Washington, ha ispirato la quarta opera discografica
(se i conti tornano, essendo tutto pubblicato a livello indipendente)
di questo songwriter di New Orleans. Andrew Duhon riassume i colori
e le sensazioni di quei luoghi nell’efficace titolo di Emerald Blue
e infonde una scrittura romantica alle sue ballate, un resoconto quotidiano
della sua vita e della relazione con la compagna, partner insostituibile
di questo itinerario. I toni sono attraversati da un languore sudista,
radici musicali che non abbandonano dunque il nostro protagonista, un
country folk irrorato di delicatezze soul, di struggimenti blues, inciso
con un trio di base che coinvolge Jano Rix (Wood Brothers) alla batteria,
Myles Weeks al basso e Dan Walker alle tastiere e accordion, con la collaborazione
di Trina Shoemaker, che ha curato la registrazione negli studi della Louisiana.
Il laid back tipicamente legato a quella terra rimane attaccato al canto
di Duhon, che sfodera però la sensibilità di quei folksinger attenti ai
sussulti dell’anima, ai risvolti più introspettivi della canzone d’autore
roots, ricordando in diversi passaggi una sorta di incrocio tra il collega
Anders Osborne (magari nella sua veste più acustica) e il lavoro svolto
in questi anni da Hiss Golden Messenger nel ridare slancio a simili sonorità.
Emerald Blue è un disco agrodolce fatto di piccoli dettagli e di
un suono casalingo, ma niente affatto rabberciato, delicato sin dall’apertura
di Promised Land, carezza country
blues che esalta la voce stessa di Duhon, bagnata nelle acque di qualche
affluente del Mississippi, soulful e avvolgente al punto giusto per ricreare
quelle suggestioni che ci aspetteremmo da un songwriter sbucato da quelle
latitudini. La band gioca di fino, ricama con doppie voci, abbellimenti
di organo e accordion, mentre le chitarre pizzicano leggere seguendo l’umore
confessionale del cantante: Slow Down crea tensione e abbraccia
l’ascolto ma non esplode mai, la stessa Emerald
Blue fiorisce con i colori di un’Americana dalle tonalità soul
e Down from The Mountain torna sui sentieri sterrati e dolcemente
rurali dell’apertura.
Duhon vanta tre album a cominciare dal suo esordio nel 2009, con un ep
di mezzo e l’ultimo dispaccio discografico che risale addirittura al 2014
con The Moorings, disco che è valso una nomination ai Grammy come
“Best Engineered Album”: non esattamente indaffarato a curare la sua carriera,
sembra piuttosto preoccuparsi di avere le canzoni migliori al momento
giusto, dedicandosi alla vita autentica del folksinger itinerante, spesso
in tour da solo o al massimo nella formula del trio. Emerald Blue
tuttavia sembra suggerire che il talento andrebbe sfruttato di più, con
questa capacità di catturare l’attenzione mantenendo i ritmi bassi e le
melodie amorevoli, di tanto in tanto tornando dal suo viaggio nell’Ovest
verso le amate paludi di New Orleans (la slide che innerva la sinuosa
Castle in Irish Bayou) e provando
anche ad alzare il livello di sentimentalismo soul (Diggin’ Deep Down,
il finale appassionato di As Good as It Gets)
e quel dono naturale per melodie che sappiano unire bianco e nero della
tradizione americana, racconto folk e preghiera gospel (Everybody Colored
Their Own Jesus).
Le gradazioni muiscali di Emerald Blue appartengono a una pigra giornata
di inizio estate, portatele con voi se ne avrete nostalgia con l’arrivo
imminente dell’autunno.