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Willi Carlisle
Peculiar, Missouri
[Free Dirt Records 2022]

Sulla rete: willicarlisle.com

File Under: modern american troubadour


di Fabio Cerbone (27/09/2022)

Velleità da poeta e repertorio da folksinger, innamorato tanto di Walt Whitman quanto di Utah Phillips, insegnante di letteratura e giovane capitano della squadra di football del liceo, abiti da cowboy vagabondo e identità queer: ce n’è abbastanza per attirare la curiosità di chi è alla ricerca di quelle voci “stonate” e marginali rispetto all’american dream, outsiders per destino prima ancora che musicisti, pronti a raccontare l’esclusione, la libertà, il viaggio e le esperienze da un punto di vista sempre alternativo alla narrazione principale.

Willi Carlisle
è figlio del suo tempo e del Midwest, cresciuto fra Illinois e Kansas, ma le ragioni del suo stare al mondo e della scelta di essere un songwriter le ha scovate nel passato, tra un manciata di ballate e hillbilly song che arrivano da lontano, un po’ anima dissidente alla Woody Guthrie, un po’ cantastorie alla Rablin’ Jack Elliott, nel mezzo tutto un filo rosso che lega l’altra America, di cui Carlisle indaga la contemporaneità mettendosi nei panni di chi cerca la sua strada controcorrente e il suo pezzo di amore. Interessante biografia, non c’è che dire, con un primo disco nel 2018 che prende le misure e allontana definitivamente Willi dall’idea di diventare un letterato, scegliendo invece la via della canzone e di un occhio gettato sulle iniquità. Una presa di coscienza, anche personale, vista la sua identità bisessuale rivendicata, che adesso si trasforma in Peculiar, Missouri, raccolta di filastrocche folk tradizionali, polke country, stralci di hillbilly music e persino sventagliate tex mex che nasce dall’innamoramento di Carlisle per il paesaggio, umano e naturale, delle Ozarks Mountain, regione che offre spunti musicali all’intero album.

Un disco quest’ultimo asciutto e iper-tradizionalista, dove l’elemento di rottura è da ricercare nelle parole sincere e nella figura stessa di Willi Carlisle, capace di dare fondo alla potenza evocativa e genuina delle descrizioni in Life on the Fence, dolce walzer country, e Tulsa's Last Magician, fingerpicking acustico, tra gli episodi migliori del disco. Oltre al basso e al mandolino di Grant D’Aubin, gli strumenti che accompagnano il canto, “sgraziato” e immediato come ci si aspetterebbe dal ruolo di Carlisle, sono principalmente nelle mani del produttore Joel Savoy e qualche volta del chitarrista (anche pedal steel) Chris Stafford, stando sempre attenti a mantenere l’ambientazione il più rurale e schietta possibile, cominciando dal galoppo per chitarra, armonica e banjo di Your Heart's a Big Tent, per arrivare infine alla stessa Peculiar, Missouri, brano recitato che narra di un attacco di panico dentro un supermercato Walmart, mentre il protagonista dialoga con il fantasma del poeta Carl Sandburg.

L’attrattiva sta tutta qui, in questo incontro-scontro fra alto e basso, fra popolare e intellettuale, sebbene Peculiar, Missouri, anche per la nostra “distanza” linguistica suoni soprattutto come un disco di pura american roots music: dal resoconto fieramente operaio di Vanlife, che sobbalza sui ritmi di un vecchio honky tonk, alla festa paesana lungo il border messicano di Este Mundo, dalla poesia musicata di Buffalo Bill, solo voce e banjo, al rustico fiddle tune di The Down and Back, passando per il valzer di Goodnight Loving Trail (dal repertorio dell’amato Utah Phillips), non c’è nulla che faccia pensare al presente. È nella voce del cantante che si svela il segreto.


    


<Credits>