Ci siamo ormai abituati ai segreti del Canada: autori
custuditi gelosamente, mai usciti dai confini nazionali a livello di fama,
e spesso altrettanto validi rispetto ai più “chiacchierati” americani.
John Wort Hannam è soltanto un altro di questi casi, del quale
veniamo a conoscenza in occasione del suo ottavo album in carriera, iniziata
una ventina di anni fa, dopo avere lasciato il suo lavoro di insegnante
a tempo pieno. Originario di Fort Macleod, stato dell’Alberta, Hannam
è un folksinger dalla limpida espressione roots country e con una voce
dalle sfumature morbide e soul che mi ha ricordato immediatamente il compianto
Greg Trooper, per stile e intensità delle melodie.
L’apertura con l’omonima Long Haul
ne è un buon esempio: suono Americana d’autore, un bel impasto elettro-acustico
ottenuto grazie al tono rilassato della band, messa insieme dal produttore
e chitarrista Steve Dawson, e che comprende musicisti navigati quali Gary
Craig (batteria), Jeremy Holmes (basso) e Chris Gestrin (organo, piano),
ai quali si aggiunge a distanza il violino dell’ospite americano Fats
Kaplin (da John Prine a Jack White, un session man di grande caratura).
Hannam possiede la voce giusta per queste ballate, quel tono confidenziale,
accorato, che gli è già valso diverse attestazioni di stima: nel suo curriculum,
infatti, una segnalazione ai Juno awards, gli Oscar della musica canadese,
e la partecipazione a diverse manifestazioni e premi del settore folk,
tra i quali spicca la vittoria al famoso festival di Kerville come “New
Folk Winner”.
Non stento a dare credito a queste note biografiche, perchè Long
Haul è davvero un piccolo, prezioso disco, che certo nulla aggiunge
al canone della canzone roots d’autore, ma la esegue con trasporto ed
emozione, parlando di temi quotidiani, di crescita familiare, per esempio
del ruolo di padre cinquantenne in Hurry Up Kid,
attraversata da un elegante suono di dobro, presente anche nella successiva
Wonderful Things, dai forti accenti agresti. Composto durante il
periodo di isolamento causato dalla pandemia nel 2020, Long Haul unisce
canzoni di resistenza e fede, come commenta lo stesso autore, alla ricerca
delle piccole emozioni della vita, quelle che ci possono tenere uniti
e pensare alla gratitudine dei suoi doni. Da qui nasce la dolce melodia
di Old Friend, accompagnata dalla
seconda voce di Shaela Miller, quest’ultima spalla ideale anche nel duetto
honky tonk di Beautiful Mess (la traccia più tradizionale e forse
la meno interessante della raccolta, va detto) e presente sull sfondo
anche della genuina andatura hillbilly di Meat Draw, episodi che
portano la musica di Hannam nei pascoli di Nashville e del country più
classico.
Noi lo preferiamo sicuramente quando lascia emergere il suo lato più sensibile
e anche velato di romanticismo: è il caso della cristallina armonia di
What I Know Now, con una spinta elettrica
fornita dalla chitarra di Dawson, oppure della tenerezza accennata dal
violino di Kaplin nel valzer di Other Side of the Curve, che ritorna
con toni persino irish nella seguente Round & Round, avvolta nella
coperta accogliente creata dal suono della band. La chiusura con Young
at Heart torna alla più classica canzone country folk, ballad dai
tenui colori che rimanda a Rodney Crowell, Lyle Lovett e ad altri maestri
texani, con una pedal steel che va a braccetto della melodia accennata
da John Wort Hannam.
Poche pretese, buona musica, solido songwriting, Long Haul non
deluderà gli appassionati del vasto mondo dei folksinger nord-americani.