Julian Taylor
The Ridge

[Howling Turtle 2020]

juliantaylormusic.ca

File Under: soul folk

di Matteo Fratti (24/06/2020)

Sono canzoni che cedono il passo alle stagioni più fredde, queste favolose ballads di Julian Taylor, forti di un calore avvolgente come di una capanna tra i boschi innevati, odore di legno di pino e fuori nessuno, solo la strada. E certe atmosfere le conosce bene, questo artista canadese veramente eclettico, che a vederlo si direbbe una sorta di soul man prestato al folk, in realtà invece è un po’ tutto questo e mai viceversa, visto che non v’è contrapposizione tra i generi che il nostro mette in gioco, ma solamente la maestria di condensare il tutto in un abile cantautorato, a piene mani nella buona musica. E i paesaggi delle sue composizioni hanno davvero il sentore dell’inverno, mai scarne e rurali però negli umori dei suoi scorci canadesi, ma con la leggerezza di una sera metropolitana al crepuscolo delle feste, una birra tra amici in un locale prima che l’indomani ricominci l’affollata quotidianità dei giorni feriali.

E’ un intimismo da troubadour urbano che il cantautore di Toronto ci restituisce al meglio in questi scenari, quantunque i suoi pezzi non siano solo la resa musicale di atmosfere vissute, ma anche uno scandagliare a fondo determinate emozioni attraverso quel che parrebbe uno scrivere intenso. Con lui un bel contorno di musicisti anche stavolta, e non è la prima anche se a noi, il suo nome sembra un po’ nuovo. In realtà, giunge alle nostre pagine con un trascorso più che ventennale, dalle band giovanili dei primi anni Novanta tra la radio e il rock canadese nel nuovo millennio, alla maturità con gli ultimi lavori, che oscillano tra raffinate influenze soul e R&B, fino alle accurate ambientazioni sonore di quest’ultimo The Ridge. E a questo, dicevamo, ci lavorano non pochi musicisti, per una resa sonora mai invadente, in cui sono silenzi e “ghost-notes” a farne un lavoro di fino, cesellatura e laid-back sound su testi dalle tematiche profonde, i toni sussurrati. Nulla è affidato all’improvvisazione e sebbene l’approccio acustico delle songs abbia una resa minimale, ci sono oltre ai più canonici chitarre, basso, batteria e piano, il violino, il violoncello, la pedal-steel e le conga, i cori e le percussioni, evocando qualcosa che sta tra il Mark Knopfler più “celtico” e il Glenn Hansard innamorato di Marketa Irglova, in Once.

Ci sta però anche quello spirito black che va a pescare in tali umori persino un’eredità da Tracy Chapman, scansandoci allo stesso tempo da qualsivoglia razzismo musicale indotto quando certi stereotipi ci fanno attribuire al colore della pelle anche i generi musicali. Mr. Taylor dribbla anche questo e ce lo canta pure nella dolce Human Race: non è la migliore, ma è egualmente annoverabile nel corpus unico di un disco di sole otto canzoni, unica critica che ci sentiremmo di fare, quand’anche la copertina però arriva in soccorso con un art-work a rendercelo più somigliante a un LP degli anni Settanta, ma niente che valga da B-side perché tanto la title-track, quanto la suadente It’s Not Enought o l’incantevole Ballad Of The Young Troubadour come le poche altre, ne fanno veramente una piacevole scoperta, come un fiore d’inverno.


    


<Credits>