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Jerry Joseph
The Beautiful Madness
[Decor 2020]

Sulla rete: jerryjoseph.com

File Under: beautiful loser

di Fabio Cerbone (11/11/2020)

Il disco di una vita alla soglia dei sessant’anni, perché no? Jerry Joseph ci prova. Pellaccia dura, una carriera da “sopravvissuto” ai margini del circo del rock’n’roll che conta, un seguito di culto che non è mai bastato a farlo uscire dal cono d’ombra, Joseph ha trovato sulla sua strada Patterson Hood (Drive-By Truckers), da sempre un musicista generoso e innamorato degli outsider. L’incontro genera The Beautiful Madness, album che prova a far conoscere la figura di Joseph al di fuori della ristretta cerchia dei suoi estimatori (tra questi ultimi anche i Widespread Panic, storica jam band per la quale Jerry ha scritto diverse canzoni). L’elemento aggiunto e la chiave di lettura musicale del disco è la presenza dei Drive-By Truckers come gruppo spalla, riuniti negli studi Dial Back Sound in Mississippi da Hood in persona, che cura la produzione insieme al bassista Matt Patton.

Il salto di qualità c’è, perché le canzoni dall’indomito spirito punk e dal cuore elettro-acustico di Joseph guadagnano in profondità e tensione, aprendo al tempo stesso uno squarcio di verità, dolore e compassione su sentimenti che parlano tanto all’America di oggi quanto alle esperienze personali dello stesso Joseph. Un girovago per istinto, cresciuto in California e poi nello Utah, alla guida dei suoi Jackmormons (molti dischi passati inosservati negli anni), Jerry Joseph ha viaggiato in Medio Oriente, Africa e oltre, ha fondato un’associazione no-profit, la 'Nomad Music Foundation', per insegnare ai ragazzi colpiti delle guerre in Iraq e Afghanistan il potere salvifico della musica, e nel tempo rimasto ha raccolto canzoni vecchie e nuove che potessero incontrare i favori dei Drive-By Truckers. La sintonia è evidente fin dall’attacco di Days in Heaven, cadenza alternative-country che potrebbe spuntare da un disco della band sudista, scritta nel bel mezzo del Messico e ispirata nel titolo al film di Terrence Malick (I giorni del cielo).

Da qui in poi The Beautiful Madness è un album tanto imperfetto quanto autentico, dove la densità delle parole ha tuttavia spesso il sopravvento sulla musica, quest’ultima un concentrato di ballate rock secche e folk rabbuiato che lotta tra luce e ombra, aiutato dai tocchi di Jay Gonzalez al piano e organo e dal contorno di chitarre e seconde voci, come evidenziano Bone Towers e Full Body Echo o il crescendo di San Acacia. Ispirato dai vagabondaggi di Joseph, The Beautiful Madness mostra una di quelle voci scontrose, “sporche” per inclinazione naturale, che nulla fanno per celare la loro impronta: in questo è facile intuire la comunione di intenti con Patterson Hood, anime gemelle che si riconoscono a vicenda nella graffiante (I’m in Love) with Hirum Black e trascinano l’intera band nel turbine di Sugar Smacks, fotografia della violenza del mondo sulle note di un crudo talkin’ elettrico.

Quando le stelle si allineano, l’alleanza funziona, generando un mezzo capolavoro chiamato Dead Confederate, ballad di un’intensità devastante costruita sulle marce radici del razzismo americano, caricata di ulteriore splendore grazie alla presenza della slide guitar di Jason Isbell, mentre in altri frangenti l’asprezza dell’intepretazione di Joseph avrebbe purtroppo bisogno di qualche limatura (Good, Black Star Line, la confessione finale di Eureka, per la madre di Joseph). Ma The Beautiful Madness non sembra affatto un disco da giudicare con il bilancino, essendo semmai opera di quelle mosse da un’urgenza che richiama la vita stessa. Qui Jerry Joseph l'ha messa in mostra senza compromessi una larga parte della sua, anche a costo di tracimare con i sentimenti.


    


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